La Turchia non ha mai abbandonato i suoi propositi imperialisti. Alla lungimiranza di Ataturk che aveva compreso la necessità di modernizzare il Paese per collocarlo al fianco delle potenze occidentali, si è sostituito il neo-imperialismo ottomano di matrice islamica che, con Erdogan, ha trovato la sua massima espressione e attuazione.
A differenza di altri grandi paesi europei, come l’Italia, la Turchia ricorda la sua storia e ne è fiera. L’impero ottomano, del resto, ha sostituito l’impero romano d’oriente, già morente ma forte di una tradizione millenaria e con alleati di rilievo, con forza, superbia e astuzia. Memorabile fu il passaggio della flotta ottomana trascinata attraverso la collina retrostante la cittadina genovese di Pera (Galata), al fine di aggirare la catena posta a protezione di Costantinopoli, considerata la città più sicura al mondo. Così come fulminea fu la riunificazione dell’Anatolia e, subito dopo, la conquista dei Balcani. Ciò che muoveva Maometto II era la reverenza verso i grandi condottieri del passato e la volontà di diventare il nuovo Cesare, puntando addirittura a conquistare, oltre alla seconda, la prima Roma, considerata dagli ottomani la nuova “mela rossa”.
Potrà sembrare anacronistico ma la reverenza verso la grandezza del passato, insieme (certamente) a interessi più concreti, primo tra tutti quello energetico, è ciò che muove l’attuale presidente turco, le cui mire, non a caso, sono dirette verso alcune delle antiche province dell’impero ottomano, in particolare Libia e Siria.
Non si può non pensare alla graduale penetrazione turca in Libia, che sembrerebbe quasi una rivincita giunta dopo più di cento anni dalla conquista italiana della Tripolitania e della Cirenaica, strappate a un Impero Ottomano ormai in dissoluzione.
Perché la Libia è importante? Si tratta del nono paese al mondo per giacimenti di petrolio e gas.
Simmetrie storiche a parte, la Libia, a seguito della guerra Onu a guida francese, non è più affare italiano. Emblematica la conferenza di Berlino del 19 gennaio 2020, dove l’Italia non ha giocato alcun ruolo apprezzabile, e dove, sulla scia di un finto pacifismo, ha firmato un Trattato che prevede l’impegno all’astensione “da qualsiasi ingerenza nel conflitto armato e negli affari interni della Libia”. Non solo: i leader firmatariincoraggiano tutti gli altri attori internazionali a fare lo stesso.
Il divide et impera. Peccato che Erdogan, a favore del governo “legittimo” di Tripoli, con il quale ha siglato peraltro un accordo avente ad oggetto la spartizione della Zee tra i due paesi, che non tiene però conto dell’isola di Creta, abbia inviato, in aiuto, un contingente di 5000 uomini. Singolare poi che in questo progetto di sfruttamento di zone marittime altrui, compresa quella Cipriota, tutte e tre le navi di perforazione inviate dalla Turchia abbiano i nomi di Sultani ottomani (Fatih, Yavuz, Kanuni).
Le mire del Presidente turco, però, riguardano soprattutto i territori posti al confine della penisola anatolica. Con la scusa di una operazione umanitaria volta ad ottenere il famoso corridoio di territorio (siriano) di 30 km al confine con la Turchia, Erdogan viola costantemente la sovranità di uno stato indipendente, anch’esso molto importante dal punto di vista energetico, poiché ricco di giacimenti petroliferi e riserve di gas naturale, e strategico, poiché sul suo territorio devono transitare le infrastrutture necessarie a trasportare le risorse energetiche in Europa. È evidente che chiunque controlli la Siria possa dire di no ad ogni progetto energetico (sgradito) diretto all’Europa, il più grande mercato al mondo.
Nella complessa situazione siriana la Turchia intende giocare un ruolo fondamentale. Dietro la facciata dell’operazione umanitaria si cela infatti il più ampio progetto neo-ottomano di eliminazione della minoranza curda e della creazione di una ampia sfera di influenza turca in medio-oriente. La sua posizione è ambigua, quasi doppiogiochista: è infatti alleata degli Stati Uniti ma, al contempo, agisce con il benestare della Federazione russa, alla quale va bene che la Turchia agisca in Siria al fine di creare una zona sicura al nord del Paese, senza però intaccare troppo il governo legittimo di Damasco.
Lasciando da parte il seppur fondamentale discorso europeo, con tutti i suoi limiti, l’Italia, per la sua storia e per la sua decisiva collocazione geografica, ha da sempre la chance di essere il perno del mediterraneo e il rappresentante degli interessi occidentali in medio-oriente, soprattutto oggi, con un mondo caratterizzato da un ordine mondiale multipolare. La via è quella dell’impegno diplomatico ed economico nelle ex-colonie, del sostegno al governo legittimo di Tripoli e alla Siria di Assad.
Eppure gli italiani sembrano dimenticare la loro storia, la loro cultura e la loro tradizione, persi nel caos della ingovernabilità e della farraginosità burocratica. Un po’ come i bizantini (rectius: “romaioi”) dell’ultimo periodo.
È la “contemporaneità” a produrre il crollo delle civiltà. E, come diceva Montanelli, gli italiani, purtroppo (e molto spesso), sono un popolo di contemporanei.