L’Italia unita al tempo del COVID-19

Vogliamo la patria, la patria una e rapidamente. Possiamo cedere su tutto; su questo no. Potete, sapete darcela?”. L’ardore mazziniano impresso per sempre nella storia del Risorgimento italiano, sembra diffondersi fiero nell’aria fresca di questa insolita Primavera. La voglia di sentirsi uniti sotto un’unica bandiera è scoppiata violentemente tra i balconi italiani e insieme allo sventolio di quel tricolore impolverato, un intero popolo senza memoria, cerca come può di leccarsi le ferite all’indomani di un brutto risveglio. Il COVID-19 è in mezzo a noi. A noi, che abbiamo lasciato che il nostro vessillo diventasse un mero gagliardetto da sfoggiare nelle occasioni sportive; troppo ingombrante la sua storia, per “l’Italietta” dei giorni nostri, che ancora fatica a scrollarsi di dosso gli anatemi di churchilliana memoria. A noi, che siamo troppo distratti per appassionarci davvero alla vita politica del Paese, tanto qualcun altro lo farà. A noi smarriti e increduli, erranti alla costante ricerca di risposte che la comunicazione istituzionale non riesce a soddisfare attraverso un Parlamento a mezzo servizio, messaggi alla Nazione in “diretta Facebook” e la Costituzione “più bella del mondo” sospesa da una sfilza di DPCM, artatamente annunciati prima di essere scritti ed emanati.

D’altronde, solo una terribile pandemia come quella che si è abbattuta sul Pianeta poteva farci riapprezzare e riscoprire determinati valori. O forse no? E basterà per ricompattarci? Impareremo la lezione? Certo che no. Non basterà rifugiarsi sotto i nostri colori, perché l’amor di patria è stato offuscato troppo spesso dalle folcloristiche e quantomai desuete spinte secessioniste che a volte ci hanno fatto ridere, a volte piangere. E’ stato sfiancato dall’inutile e cieca contrapposizione Nord/Sud, che ahimè ha contribuito, tra l’altro, a disegnare un paese diviso: alta velocità nel trasporto passeggeri interurbano, elevati standard dei servizi pubblici essenziali e offerta sanitaria d’eccellenza, sono solo alcune delle opportunità offerte a chi risiede nella c.d. parte produttiva del paese, l’unica spesso in grado di attrarre la speranza di quei giovani, che dopo anni di studio prendere in mano il proprio destino. Per questi e molti altri motivi il nostro tricolore è sbiadito, nel vedere un Paese che avanza a due velocità, con la parte più debole che oggi sente più che mai la distanza dalla sua locomotiva.

Solleva in parte, dunque, veder rinascere una scintilla di unità nazionale, anche se figlia dell’incertezza e della paura, purché serva a creare nuova consapevolezza, ad esigere rappresentanti migliori nei consessi pubblici e poter ripartire così con più forza e vigore. Che serva a farci dimenticare il nostro ultimo de profundis, la notte dell’8 marzo scorso: durante la quale abbiamo subìto tutta l’inadeguatezza dei vertici istituzionali, dimostratisi totalmente inadeguati a far fronte a una situazione emergenziale di tale portata. Un corto circuito comunicativo (dovuto alla circolazione della bozza del provvedimento che di fatto rendeva la Lombardia zona rossa), che ha coinvolto l’intera catena di comando e si è combinato alla sconsideratezza di una moltitudine di persone precipitatasi ad assaltare la stazione di Milano Porta Garibaldi, per salire sui treni diretti verso il Meridione, provocando un panico che si poteva e doveva evitare. Panico che pian piano è diventato psicosi nei loro confronti, che da semplici cittadini si sono trasformati in veicolo di contagio per la terra natia e per i loro parenti e amici. La via verso la normalità è impervia e richiederà ulteriori sacrifici ma uniti ce la faremo e testimonianza ne siano due episodi: la risposta incoraggiante di oltre 7000 medici alla richiesta di aiuto della Regione Lombardia per coprire 300 posti e il trasferimento di due pazienti affetti da COVID-19 da Bergamo a Catanzaro, perché l’Italia è una e indivisibile. 

Membro dell'Assemblea dei Soci del Centro Studi Occidentali