In questi giorni difficili, mentre medici e operatori sanitari lottano contro un pericoloso nemico 600 volte più piccolo dello spessore di un capello, noi altri siamo alle prese con dei conti che non avremmo mai immaginato: il numero dei nuovi infetti, dei nuovi guariti, dei ricoverati, il numero delle terapie intensive disponibili e quello delle mascherine e dei ventilatori in arrivo, e il numero che non dimenticheremo mai, quello delle vittime da COVID-19.
Tra tutti questi numeri vi è un dato su cui ci si sofferma poco, quello dei ricoverati “con sintomi” ma che non necessitano di terapia intensiva. Ad oggi circa il 45% degli affetti da Coronavirus è ricoverato con sintomi; quasi 20.000 persone, principalmente nelle regioni del nord, “affollano” i reparti riconvertiti alla meglio dalle strutture ospedaliere per ricevere le cure necessarie dai medici, che mettono a rischio la propria incolumità anche quando se ne potrebbe fare a meno. Purtroppo, le strutture sanitarie, anche nelle regioni più virtuose, sono in evidente affanno nella gestione di questa emergenza, che per ora non dà segni di arresto. Il fantasma della sanità pubblica che collassa è dietro l’angolo; tale collasso sembra sempre più vicino a causa dei numerosi tagli, come riportato da uno studio della fondazione Gimbe, che dal 2010 hanno sottratto più di 37 miliardi di euro a personale medico, paramedico, posti letto e nuovi dispositivi.
In questi tristi giorni è più volte circolata la notizia che si potrebbe arrivare a scegliere chi salvare e chi no. Appare evidente, quindi, la necessità di diminuire il carico di lavoro delle strutture che erogano salute, mettere in sicurezza le persone deboli, gestire al meglio il rischio clinico e diminuire il rischio di contagio tra chi ci cura e i ricoverati per altre patologie.
Un aiuto decisivo può arrivare dalla telemedicina, nuovi processi assistenziali che da tempo si stanno ponendo come avanguardia medica nei modelli sanitari più avanzati. La telemedicina è un valido supporto su cui fare affidamento per diluire il carico di lavoro delle strutture sanitarie; essa coniuga le competenze e le attrezzature mediche con le tecnologie della comunicazione e dell’Internet delle cose rendendo possibile la connessione tra medico e paziente a distanza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità descrive la telemedicina come “l’utilizzo delle telecomunicazioni e delle tecnologie virtuali per fornire assistenza sanitaria al di fuori delle strutture sanitarie tradizionali.”
Diversi studi hanno dimostrato che le visite tradizionali e quelle a distanza possono ottenere gli stessi risultati, inoltre, alcune patologie, come le malattie croniche, sono meglio seguite grazie alla telemedicina che abbatte i costi tradizionali delle cure, permette di massimizzare le prestazioni mediche e offre soluzioni più comode per i pazienti. Ma vale la pena provare uno strumento così innovativo e poco diffuso in una situazione critica come quella che stiamo vivendo oggi? Probabilmente si, oltre al risparmio economico, si avrebbero più posti letto a disposizione per pazienti gravi o per altre patologie; si avrebbe sicuramente un maggiore contenimento dei contagi da Coronavirus “in reparto” offrendo una maggior tutela a chi sta lottando in prima linea contro questo grande nemico.
Il Sistema Sanitario Nazionale è stata una grande “opera pubblica”, di cui andarne fieri, garante indiscusso del diritto fondamentale previsto all’art. 32 della nostra Costituzione, ma quest’opera è stata per troppo tempo trascurata e saccheggiata ed ora rischia di non riuscire a tutelare la salute di tutti noi. La telemedicina, grazie al basso costo e alla sua scalabilità può essere un asset importante su cui puntare, per difenderci nell’immediato e per costruire la sanità del futuro.