Mai come ora il tema della ricerca scientifica torna ad assumere l’importanza che merita. In questi giorni si parla tanto della corsa alla scoperta di un nuovo vaccino contro il COVID-19, e del lavoro che ricercatori e medici di tutto il mondo stanno portando avanti per il raggiungimento di questo obiettivo comune. Siamo fieri di leggere che oggi in Italia non si parla del ricercatore scientifico come del precario che, dopo anni e anni di promesse fatte per quel “contratto a tempo determinato”, molla tutto per sbarcare il lunario all’estero. Piuttosto, si parla dell’importanza del lavoro che svolge ogni giorno e delle competenze acquisite negli anni che diventano di vitale importanza per l’uomo e per la creazione del vaccino che salverà centinaia di migliaia di vite.
Mi occupo di sclerosi multipla e come tanti altri colleghi italiani ho avuto la fortuna / sfortuna di svolgere il mio lavoro in Svizzera, principalmente a Zurigo. La Svizzera è un Paese esteso circa come il nord-Italia con un totale di 8 milioni di abitanti, e riceve e forma i migliori ricercatori di tutto il mondo. Investendo quasi il 3,4% del PIL nel settore della ricerca e sviluppo con 22 miliardi di Franchi svizzeri (ossia quasi 21 Miliardi di Euro) all’anno, svolge un ruolo di primo piano a livello internazionale, risultando uno dei Paesi più competitivi al mondo in tale ambito. Parlando di numeri, la Svizzera è al primo posto tra i Paesi più innovativi del pianeta con 892 domande di brevetto per milione di abitanti. La confederazione, promuovendo la ricerca in tutte le discipline scientifiche, dalla storia alla medicina, passando per l’ingegneria, partecipa alla produzione dell’1,2% delle pubblicazioni mondiali, che in rapporto alla sua popolazione, la rendono il Paese più produttivo al mondo con 3,9 pubblicazioni ogni 1000 abitanti. Per fare un paragone, basti pensare che a livello di finanziamenti, il rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo e Pil nel Bel Paese è pari all’1,3%. L’Italia è invece solamente 12esima in Europa, stesso livello di Portogallo ed Estonia, e ancora lontana dai Paesi concorrenti diretti come Francia e Germania.
Per un ricercatore, lo standard svizzero, si traduce in entusiasmo, creatività e stabilità che garantiscono di svolgere il lavoro senza doversi preoccupare di problematiche relative al contratto, quali maternità e malattia. I fondi per la ricerca non sono quasi mai un problema, pertanto le opportunità sono sicuramente superiori rispetto a molti altri paesi, inclusa l’Italia. Avere i fondi significa acquistare strumentazioni all’avanguardia, lavorare con i più grandi esperti su progetti significativi e con minori difficoltà. Spesso gli sforzi si traducono in qualcosa di più grande. Nel caso della ricerca clinica, sono appunto i clinical trials, cioè farmaci sperimentali che offrono speranza a tutte le malattie che una cura ancora non hanno; “from bench to bedside” è l’espressione utilizzata per chi lavora ogni giorno in medicina traslazionale per tradurre gli sforzi di noi ricercatori in terapie. Il ricercatore è protagonista assoluto e non un semplice spettatore di quella fantastica opera chiamata scienza.
In Svizzera la stretta connessione tra università, industrie farmaceutiche e le numerose start-up, sono il motore propulsore di un’economia che trasforma gli investimenti nell’innovazione in risultati. Un fattore chiave che lo rende uno tra i leader globali per la spesa nella ricerca e nello sviluppo e per la qualità delle sue università locali.