Non solo personale sanitario e forze dell’ordine, operatori del commercio e della filiera alimentare. C’è un altro “esercito” che in questi giorni è al lavoro nonostante tutto: i sindacalisti. Migliaia di persone impegnate su più fronti, dal rispetto delle disposizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro alla gestione delle decine di migliaia di pratiche di cassa integrazione che si stanno riversando nelle Pec delle organizzazioni sindacali. I leader di Cgil, Cisl, Uil si sono confermati un interlocutore importante e autorevole del Governo. Hanno battuto i pugni quando si è scoperto che l’elenco delle aziende autorizzate a proseguire l’attività, quelle indicate dai Codici Ateco, nella versione definitiva del decreto era stato allargato rispetto a quanto stabilito nell’incontro precedente.
Quel famoso “Allegato 1”, così come era stato modificato a dispetto dell’intesa con i sindacati, si traduceva nell’obbligo di andare al lavoro per decine di migliaia di persone prima escluse. Di fronte alle vibrate proteste dei sindacati l’Esecutivo è stato costretto a fare retromarcia. Non è stato facile districarsi tra attività essenziali, quelle cioè strategiche, e attività accessorie, vale a dire quelle indispensabili perché le essenziali possano operare. Non è stato per nulla semplice avere a che fare con una casistica vastissima, con una miriade di casi singoli. Le aziende tessili, ad esempio, non rientrano nell’elenco, e quindi dovrebbero sospendere l’attività. Ma ci sono aziende tessili che si sono subito adattate al momento e ora producono i camici per gli operatori sanitari, come avvenuto per Armani. Ci sono aziende che sono escluse dal decreto ma ora producono mascherine.
Ci sono edili che devono continuare a lavorare perché fanno manutenzione sulle reti ferroviari e stradali, o sulle condotte d’acqua e di gas, permettendoci di avere i servizi essenziali in casa. Ci sono aziende di plastica che producono gli imballaggi per i cibi. Impossibile chiudere tutte le lavanderie: ci sono quelle che lavorano con gli ospedali. E via discorrendo. Il timore è che in qualche caso il buon senso soccomba di fronte alla volontà dell’imprenditore di proseguire comunque la produzione, grazie ad una “interpretazione estensiva” dei Codici Ateco.
Ma ecco tornare in campo i sindacalisti: tocca a loro monitorare le imprese e controllare che non ci siano pericolosi strappi alla norma. Sta a loro verificare che nelle aziende che possono continuare la produzione si rispettino alla lettera le norme sui DPI, i dispositivi di protezione individuali. Non c’è lavoro che valga una vita, lo hanno detto in tanti. E se per la prima volta nella storia sono stati gli stessi leader sindacali ad augurarsi la chiusura di una fabbrica, o di un cantiere, vuol dire che ci troviamo davvero di fronte a un evento straordinario, che va al di là di ogni previsione, di ogni logica. La speranza è che questo periodo di sospensione non passi invano: i lavoratori possono stare al sicuro, a casa. Le imprese, anche con la collaborazione del sindacato, possono cominciare a pensare alla ripresa, per la quale si spera di non aspettare troppo tempo.
Ripensare l’organizzazione del lavoro, favorire dove possibile lo smart working, dotarsi di tutti i dispositivi per la sicurezza dei propri addetti è la nuova sfida che il mondo del lavoro è chiamato a vincere. Una sfida che comporta relazioni industriali mature e moderne, una sinergia convinta e proficua tra le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali, un gioco di squadra anche con le istituzioni. Questa volta il nemico da battere è in comune, allearsi non potrà che portare benefici a tutti.