Risoluzionismo e insoddisfazione: il cortocircuito tra domanda e offerta politica

L’intervento dei policy makers in determinati ambiti della vita sociale o economica nasce solitamente dall’emersione di un problema, percepito come pubblico e così capace di entrare a far parte dell’agenda istituzionale. Il decisore, così come lo scienziato o l’investigatore, analizza il problema e formula alcune teorie per cercare una soluzione. Tali soluzioni possono essere parziali, non definitive e possono far nascere nuove teorie esposte a critica e falsificazione da cui derivano nuove soluzioni e nuovi problemi.

In questa fase, costantemente ciclica sia nella scienza che in democrazia, gioca un importante ruolo il cosiddetto problem setting, vale a dire l’esatta individuazione del problema e la nitida definizione delle sue implicazioni. In tempi di democrazia istantanea, capita molto spesso però che il decisore incespichi in un errore di metodo che incide negativamente sull’intero ciclo di policy: il risoluzionismo, vale a dire l’ossessiva ricerca della soluzione senza un’adeguata comprensione del problema da risolvere e senza una corretta definizione dei parametri con cui misurare il fallimento o il successo della soluzione prescelta.

Seguendo questo fallace iter logico, il decisore guarda esclusivamente al raggiungimento della soluzione in sé, mentre il problema, sempre se reale, viene lasciato irrisolto. Secondo lo studioso Robert Heller, chi incappa nel risoluzionismo si limita a “pensare a un progetto, calcolarne i costi sottostimandoli, calcolarne i vantaggi sopravvalutandoli e, se rimane ancora un margine negativo, concludere valutando i benefici sociali della somma richiesta”.

Il risoluzionismo si incrocia con un’altra caratteristica sempre più cristallizzata della domanda politica: l’insoddisfazione perenne del cittadino-elettore.

Si tratta di un’insoddisfazione che parte dalla disaffezione e dal distacco verso la politica convenzionale e dalla netta decisione di non volerne prendere parte, un fenomeno che va oltre il semplice calo della partecipazione elettorale.

Un’analisi approfondita di tale caratteristica ha portato lo studioso Orsina a parlare di “democrazia del narcisismo”, facendo emergere tratti ben definiti: più libertà individuale meno potere pubblico; più individuo meno società; presentismo, senza passato e senza futuro; più emozioni e istinto meno ragione.

Impazienza, indignazione, ansia e desiderio di scaricare le frustrazioni impongono nell’agenda politica nuovi problemi, a volte non reali, e bocciano ogni soluzione proposta dai decisori, che diventano nuovi capri espiatori.

Dall’incrocio di questi due fenomeni, ben visibili anche nella rappresentazione mediatica, deriva un cortocircuito tra domanda e offerta politica con effetti nefasti.

Da un lato il risoluzionismo indebolisce le potenzialità decisionali delle istituzioni e riduce di gran lunga risultati e benefici che possono scaturire da una politica pubblica. Dall’altro la perenne insoddisfazione ingolfa con falsi problemi l’agenda politica diventata sempre più una quotidiana pagina di un diario emotiva e scredita ogni soluzione e ogni decisore scaricando su di esso il proprio risentimento.

Non sappiamo se l’emergenza coronavirus contribuirà a cambiare questo scenario. Sicuramente in questa fase è più chiara e semplice l’individuazione di problema e priorità, con un’agenda politica e mediatica monotematica che, davanti a un nemico comune da sconfiggere, mette da parte narcisismi, sfumature e vezzi e vizi superflui.

Altrettanto certo è inoltre che l’urgenza e la pressione di individuare soluzioni adeguate abbiano costretto il decisore ad un’analisi più definita e accurata dei problemi da affrontare.

Non c’è dubbio poi che le restrizioni imposte e le risposte necessarie delle istituzioni abbiano ridato vita e valore a una dimensione comunitaria e a una presenza dello Stato più forte e abbiano di riflesso portato a un aumento di fiducia verso le istituzioni stesse.

Ma tutto questo basterà? Alla fine dell’emergenza troveremo cittadini, politici e burocrazie migliori capaci di arrestare, ognuno per proprio conto e tutti insieme, il declino dell’Occidente?

Dottore di ricerca in Scienza politica - Luiss Guido Carli