Michela Murgia, la titolata scrittrice sarda autrice dell’apprezzato romanzo “Accabadora”, nel corso della sua parallela attività di youtuber di successo ha pensato di dedicare una puntata della sua rubrica social “Buon vicinato” a Franco Battiato, per il quale non occorrono didascalie di presentazione.
La rubrica è intitolata “Il finto intellettualismo di Franco Battiato” ed il succo dell’articolato ed argomentato ragionamento della Murgia è rappresentato dalla seguente tesi: “Battiato è considerato un autore intellettuale e invece ti vai a fare l’analisi dei suoi testi e sono delle minch… assolute. Citazioni su citazioni e nessun significato reale. Tolti due testi, forse…”.
La Murgia, con la sua raffinata critica, ha prontamente attirato a se le ire dei fans e dei colleghi di Battiato, fino al punto di sentirsi costretta ad una goffa – e direi non convincente – marcia indietro.
A Franco Battiato, è evidente, non servono difese sul piano artistico, ma è giusto favorire un approfondimento su questo episodio di ridottissima portata -se si considera la fonte dalla quale scaturisce – che però rappresenta in modo inaspettatamente limpido un bivio fondamentale di fronte al quale si trovano gli uomini occidentali: rimanere fermi e subire il frastuono di chi ci spiega chi siamo e chi dovremmo diventare per alimentare in maniera corretta il nostro ego o abbandonarsi al silenzio momentaneo per riscoprire la nostra storia, la nostra missione, la nostra spiritualità, la nostra identità, ed in questo ritrovare il nostro cammino?
Sembra strano e forse poco corretto applicare delle categorie così rigide ad un ambito così inafferrabile quale è l’arte ma ciò che ha sostenuto Michela Murgia non può essere semplicemente ascritto al novero delle legittime opinioni di un’artista (il profilo Facebook della scrittrice la qualifica così); rientra piuttosto in quella prassi consolidata per cui i profeti della tolleranza, gli unici con il patentino di “intellettuale”, esternano tutta la loro intolleranza verso ambiti di ricerca che semplicemente non comprendono, e dunque verso gli interpreti di questi ultimi.
La colpa di Franco Battiato, stando a quanto sostiene la Murgia, starebbe nella sua incapacità di dare un senso definito e perseguibile ai testi delle sue canzoni. Non è un giudizio critico-musicale questo, è qualcosa di più: si tratta di avere in tasca – o almeno presumere di avere in tasca – i parametri per giudicare quanto l’azione dell’intelletto umano, e dunque le sue espressioni tipiche come in questo caso l’arte musicale, sia orientata verso una direzione utile, apprezzabile, necessaria. Un essere umano, dunque, che decide quanto i pensieri di un altro essere umano siano intellettualmente autentici, dopo una rapida analisi. Non la consapevolezza di non aver compreso, non il rispetto per una ricerca diversa dalla propria, ma semplicemente il giudizio categorico: questo è falso intellettualismo, queste sono minc…te assolute, queste cose non hanno un significato reale, sono solo citazioni messe una dopo l’altra.
In breve: una manifestazione inopportuna di un ego smisurato e di una sostanziale inconsistenza spirituale nonostante vanti, la Murgia, una formazione cattolica ed abbia il lasciapassare dei mille lavori svolti per pagarsi gli studi, cosa che certamente le fa onore, ma che comunque non le ha consentito di comprendere che ci sono piani diversi del sapere umano in cui ciascuno è libero di cimentarsi. Uno di questi è appunto lo slancio mistico, quella ricerca spirituale ed interiore che è oggi più affine alla cultura orientale che a quella occidentale, solo perché da queste parti l’abbiamo un po’ trascurata e forse anche un po’ sfottuta, ma che è parte integrante delle nostre radici culturali e religiose, che è praticata nelle grandi scuole esoteriche e filosofiche, che permea ogni evoluzione delle arti plastiche e della letteratura, dall’età classica sino a quella moderna.
Si tratta della complessa ed infinita ricerca di quel legame invisibile tra terreno e divino che qualcuno intuisce proprio nel concetto di umano.
Ma c’è un nesso tra la musica e la spiritualità? Per Franco Battiato assolutamente sì, ed è un legame fondamentale. Il cantautore catanese in diverse interviste ha confessato: “ogni volta che mi metto a scrivere qualcosa che non sia banale, sento il bisogno di inserirvi elementi metafisici. L’artista è un tramite tra questo piano di realtà ed il Divino. Ho capito col tempo che l’ispirazione è soprasensibile, è successo per brani come L’Ombra della Luce e La Cura. Senti che qualcosa di superiore ti arriva, ti attraversa, tu in questo caso sei solo un mezzo di comunicazione tra due mondi”.
In una intervista rilasciata a Vincenzo Mollica nel 2004, riferendosi ad un passaggio del suo brano “E ti vengo a cercare”, cantato alla presenza di Papa Giovanni Paolo II ed in particolare il verso “…essere un’immagine divina di questa realtà”, Battiato sostiene che l’emozione che trasferisce una canzone in un determinato momento è indipendente dalla “miserabile personalità dell’individuo che l’ha scritta”, essendo lui stesso, in quel momento, il miserabile individuo e dunque il semplice strumento di un equilibrio ben più complesso.
Con queste parole si spiega l’incolmabilità dello spazio che intercorre tra l’opera di Battiato, infinita e memorabile, e quella di Michela Murgia, destinata ad un successo contingente e vanaglorioso.
Persino il silenzio quasi iniziatico di Franco Battiato sarà più emozionante e pieno di senso di tutte le parole che potrà mettere insieme Michela Murgia nel corso di tutta la sua carriera.