Non c’è solo il Protocollo nazionale sottoscritto dalle parti sociali il 14 marzo scorso, e integrato il 24 aprile. In quasi tutti i settori produttivi le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali, spesso con il placet di addetti ai lavori qualificati (medici, docenti universitari, Istituti, ecc.), hanno prodotto decine di protocolli per definire le regole precise anti-contagio da adottare nei luoghi di lavoro al momento dell’agognata ripartenza. Un positivo effetto-cascata, poi, ha consentito di generare protocolli anche a livello aziendale, offrendo così una copertura pressoché totale nel panorama produttivo del Paese.
In molti casi le disposizioni previste da questi Protocolli sono ancora più stringenti di quelle previste dal Protocollo nazionale. Le parti sociali dei singoli settori hanno contestualizzato la normativa, adattandola ai rispettivi ambienti produttivi, ognuno dei quali presenta peculiarità che comportano differenti livelli e situazioni di rischio, e quindi diversi processi di protezione.
Per milioni di persone, quindi, la ripartenza avverrà in modo sicuro e garantito, attraverso l’applicazione, nei luoghi di lavoro, di norme e comportamenti sui quali i rappresentanti sindacali vigileranno con grande attenzione e responsabilità. Su una cosa sembrano tutti d’accordo, imprese e sindacati: non saranno consentite distrazioni, non si anteporrà in alcun modo il profitto alla sicurezza dei lavoratori. Il nemico questa volta è comune a tutti: un nemico subdolo e invisibile, contro il quale dovranno essere messe in campo grande attenzione, senso di responsabilità, prudenza, buon senso, collaborazione tra lavoratori, rappresentanti dei lavoratori, Enti bilaterali, imprese e istituzioni.
Già nei prossimi giorni si calcola che saranno milioni le persone che torneranno in azienda. Troveranno un ambiente di lavoro cambiato: rispetto della distanza interpersonale, divieto di assembramenti, mascherine di protezione, guanti, postazioni per la sanificazione delle mani, nuovi orari di lavoro e in generale una diversa e più articolata organizzazione del lavoro. Un cambiamento epocale, non facile ma inevitabile per evitare che i luoghi di lavoro si trasformino in focolai della pandemia. I nodi da sbrogliare, adesso, restano essenzialmente tre: la filiera, i trasporti, la scuola. La filiera: se nelle grandi realtà, ad esempio della moda, o delle costruzioni, il rispetto delle disposizioni è più semplice e verificabile, il discorso cambia al diminuire delle dimensioni dell’azienda.
Come fare in modo che anche le piccole realtà, ad esempio di 5-10 addetti, mettano in pratica tutte le norme previste dai diversi Protocolli? È qui che entra in gioco il sindacato, la cui forza è proprio la capillarità, la presenza anche nelle piccolissime realtà produttive. Anche dove non sarà possibile costituire il Comitato previsto dal decreto del 14 marzo, ci penseranno i delegati, gli Rsu a verificare che tutto sia in regola. I traporti: l’osservanza delle nuove norme comporta la riduzione drastica della capacità dei mezzi di trasporto, come autobus e treni. Intensificare le corse, aumentare i mezzi a disposizione non basterà. E dove non sarà possibile ricorrere allo smart working, sarà la diversa organizzazione del lavoro a consentire una modulazione dell’orario, per evitare le cosiddette “ore di punta” e spalmare sull’intera giornata la turnazione aziendale.
Non sarà facile, ma al momento appare l’unica via percorribile.
Infine l’istruzione: “azienda aperte” e “scuole chiuse” è un combinato disposto devastante. E non è possibile per ovvi motivi neanche fare affidamento sui cari nonni, gli “ammortizzatori sociali”, in tempi normali indispensabili nell’organizzazione della famiglia. Anche in questo caso lo smart working è solo un palliativo, anche perché non è possibile utilizzarlo in tanti settori, come l’edilizia, o in tanti comparti del manifatturiero. Quest’anno scolastico oramai è finito, ma è necessario capire sin d’ora cosa accadrà a settembre, con la consapevolezza che il ritorno alla normalità resterà un miraggio ancora per molto, nonostante tutti gli sforzi.