Quante volte abbiamo ascoltato uomini con responsabilità politiche di vertice definire un loro atto come “storico”? Oggi abbiamo approvato una legge storica; l’incontro appena conclusosi ha una portata storica; dopo decine di anni di attesa finalmente è arrivato un momento storico. Ce l’abbiamo fatta. Un’altra promessa storica mantenuta: abbiamo finalmente tagliato questo o quello. Per sempre. Sono orgoglioso di essere parte di un momento storico di cambiamento: siamo primi alle elezioni in questa o quella Regione.
Questa è una brevissima e trasversale raccolta di esternazioni di autorevoli rappresentanti del mondo politico ed istituzionale consegnate alla stampa ed all’opinione pubblica solo nell’ultimo anno. Sono tuttavia decine, forse centinaia i “momenti storici” presunti che è possibile ricordare con estrema fatica.
Non è anomalo che per ricordare un “momento storico” o un “atto di portata storica” occorra applicare tanta concentrazione? Magari questa enfasi nel raccontare qualcosa tutto sommato di importanza ordinaria e contingente è stata forse un po’ eccessiva e, perché no, truffaldina? Nel corso di questi anni si è costruito un impianto comunicativo nel mondo istituzionale che probabilmente si è retto su una prospettiva di ingrandimento delle materie trattate?
Ecco, la pandemia da Covid-19 ci fornisce qualche risposta e di conseguenza il virus terribile e tutto quello che si porta dietro restituisce una immagine abbastanza sbiadita – talvolta grottesca – di tutti quei fotogrammi che negli ultimi anni ci hanno fornito gli apparati della comunicazione politica e non solo politica.
Le diapositive di un momento e di un evento storico sono ben altre, dunque: Papa Francesco che prega da solo in Piazza San Pietro; il Presidente della Repubblica che si reca all’Altare della Patria in solitudine per rendere omaggio al milite ignoto; i mezzi dell’Esercito che trasportano le bare dei deceduti che le strutture non sono più in grado di gestire; le centinaia di operatori della sanità e medici impegnati notte e giorno in una lotta imprevista e dalle dimensioni estreme; gli anziani separati dai propri cari senza certezze sulla possibilità di rivedersi.
Sono queste pennellate pesanti ma indelebili, timbri evocativi che imprimono ricordi che nessuno mai riuscirà a cancellare. Un po’ come gli aerei che piombano nelle Torri Gemelle, un po’ come i picconi che abbattono il muro di Berlino, o come i caccia che fischiano su Sarajevo, o la corsa incredula di Fabio Grosso nella semifinale dei mondiali del 2006 o lo sforzo di Wojtyla nelle sue ultime apparizioni pubbliche. Egli non parlava, non riusciva a parlare, ma l’abbiamo sentito tutti! Così forte che non abbiamo difficoltà a ricordare il suo volto ed il suo silenzio.
In questa breve analisi si colloca la classica distinzione operata da Benedetto Croce, tante volte recuperata, fra cronaca e storia, la prima riguardante fatti individuali, fatti privati, fatti non rilevanti; la seconda i fatti generali, i fatti pubblici, i fatti importanti. Il grande ideologo liberale ha sostenuto senza mezzi termini e con argomentazioni solide che «la storia è la storia viva e la cronaca la storia morta».
Ebbene, recentemente molta cronaca, anche spicciola, è stata venduta come storia e l’operazione di maquillage è servita agli uomini di cronaca per sentirsi, almeno per un giorno, protagonisti della storia. I giorni incredibili che stiamo vivendo, tuttavia, stanno rimettendo pian piano le cose in ordine e ben presto l’Occidente avrà di nuovo bisogno di uomini in grado di scrivere pagine di storia relegando al ruolo di tristi comparse tutti quelli che hanno approfittato – per anni – della buona fede dei popoli.