Con uno sguardo curioso e attento, si nota subito una concettuale differenza tra le finestre nell’architettura occidentale e quella orientale. Nell’architettura occidentale, le finestre sono spesso nella facciata esterna mentre nella tradizionale architettura orientale sono verso l’interno dell’abitazione. In origine e come funzione principale tutte e due hanno avuto il compito di portare la luce dentro le mura e fare circolare l’aria, col tempo la finestra divenne un canale di comunicazione, il collegamento tra dentro e fuori, la finestra sul mondo esterno, ovviamente per chi ne aveva una verso l’esterno. Per secoli le finestre hanno trasmesso i sentimenti, i poeti hanno scritto di amori conosciuti dalla finestra di fronte. Abbiamo imparato ad aprire la finestra per fare entrare la vita e chiuderla per non fare entrare il rumore. 6 Aprile 1992 un’altra finestra si è aperta nelle nostre vite, questa volta non in una fessura sul muro di casa ma direttamente sullo schermo di un computer. Abbiamo conosciuto Windows 3.1 e anno dopo anno abbiamo sempre aperto più finestre per le varie esigenze lavorative, intrattenimento o comunicazione. Abbiamo aperto tante di quelle finestre che non ci bastavano più i computer, quindi il genio commerciale ci ha regalato le finestre tascabili, centinaia e migliaia di finestre in tasca, niente luce, né aria fresca ma tanto rumore.
Le finestre ci hanno obbligato a cambiare il nostro modo di vivere, ci hanno tolto la scusa della pigrizia, il gusto di non sapere e l’arroganza di sapere, come fai a non sapere se hai le finestre a portata di un click. E allora ci siamo ribellati alle finestre, con dei gesti eroici quasi al limite del martirio abbiamo deciso di andare in vacanza e per una mezza giornata lasciare lontano “e comunque non chiuse” le nostre finestre solo per permetterci di liberare la mente. Mentre combattevamo la nostra eroica battaglia con le finestre, arrivò la pandemia, la quarantena e di nuovo le nostre finestre. Questa volta le nostre finestre sono diventate vitali, l’unico mezzo per comunicare, per incontrare le persone amate, per informarci, per contrastare le nostre paure e per lavorare. Lavorare guardando il mondo da una finestra. Basta chiamarlo Smart Working e lavorare e guardare il mondo da una finestra digitale sembra l’attitudine più civile, ecologica e trendy che l’uomo abbia mai immaginato. Oggi se non sei connesso ad almeno 10 finestre sei nessuno.
Sarò antico, malinconico e anacronistico, ma pensare di lavorare dietro una finestra digitale mi proietta l’immagine di Edmondo Dantès, Conte di Monte Cristo mentre guardando dall’angusta finestra della sua cella verso il mondo scriveva questi versi, “Soltanto colui che provò le più grandi sventure è atto a godere le più grandi felicità. Vivete dunque e siate felici, figli diletti del mio cuore, e non dimenticate mai che, fino al giorno in cui Dio si degnerà di svelare all’uomo i segreti dell’avvenire, tutta la più alta sapienza d’un uomo consisterà in queste due parole: “Attendere e sperare”. Il vostro amico. Edmondo Dantès – Conte di Montecristo”. E allora mi alzo e guardo fuori dalla finestra, a meno che non si è abitanti di un set cinematografico quello che si vede dalla finestra è vero, è palpabile ed è spontaneo, nelle nostre finestre tascabili, quel che appare nel migliore dei casi è ragionato, artefatto e nel peggiore dei casi è comandato. Le nostre finestre tascabili si aprono verso una industria che direttamente o indirettamente gestisce 1/5 dell’economia mondiale.
Sta a noi decidere da quale finestra guardare il mondo, sta a noi definire i nostri spazi vitali. Ma personalmente la tendenza a guardare il mondo dalla finestra virtuale mi lascia un sentimento di oppressione. Dalle finestre si vede quello che passa non quello che è, solo che da una finestra reale si ha la consapevolezza della visione limitata, mentre dalla finestra virtuale si ha la percezione di una profondità illimitata. E qua c’è l’inganno.