Pubblichiamo un estratto dell’introduzione del libro di Giovanni Orsina, “La democrazia del narcisismo” (Marsilio editore, 2018). Ringraziamo l’autore per averci permesso di condividere le sue interessanti riflessioni con i lettori di Ponente Magazine e la community del Centro Studi Occidentali. Il suo studio ci interroga su tendenze sociali e pressioni psicologiche che mettono a dura prova istituzioni e democrazia dell’Occidente.
Invitiamo alla lettura.
Chi vive oggi in Italia ha avuto pace, benessere e opportunità che non trovano precedenti nella nostra storia né corrispondenza in gran parte del globo. Se gli italiani non si sentono in debito con la propria terra oggi, viene da chiedersi quando mai ci si siano potuti sentire, o chi altri ci si possa sentire. Felicità poi è parola grossa e complicata da maneggiare con molta cautela. Tanto più quando la si subordini alla conquista del massimo. Che chiaramente non potrà mai essere garantito a tutti. E’ lecito dubitare insomma che i nostri connazionali stiano chiedendo troppo, e dimentichino che la loro condizione odierna resta largamente migliore di quelle cui lo si potrebbe paragonare oltre a non essere né scontata né dovuta.
Che tanti italiani, forse addirittura la maggioranza, si sentano traditi e in credito resta però un dato di fatto. Possiamo dubitare che abbiano ragione ma non possiamo fare a meno di interrogarci sulle loro ragioni. Se pensano che sia stato loro promesso e poi non garantito il massimo, è perché qualcuno ha preso questo impegno con loro? E, se sì, chi? […]
Se è vero che la classe politica ha promesso e poi tradito, dobbiamo chiederci allora come possa avere avuto l’idiozia di prendere impegni che sono con ogni evidenza impossibili da mantenere. Se invece non è vero, se quella promessa non è stata pronunciata, come mai allora così tanti italiani credono di averla udita? E perché il ceto politico non ha fatto e non fa tutto quello che può per contrastare l’illusione?
Le pagine che seguono tenteranno di rispondere a queste domande. Nel primo capitolo cercherò di mostrare -partendo da Alexis de Tocqueville- come la promessa che tutti abbiano il massimo sia connaturata alla democrazia intesa non soltanto come sistema politico, ma come modello di società. Allo stesso tempo, però, la pretesa che quella promessa sia mantenuta sottopone il regime democratico a tensioni insopportabili. Per conservarsi stabile e funzionale, allora, questo deve appoggiarsi a elementi strutturali o congiunture storiche che non soltanto non è in grado di produrre e controllare, ma che in molti casi contribuisce anche a distruggere. […]
A partire grosso modo dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso, tuttavia, la promessa di felicità implicita nella democrazia si è divincolata dalle contingenze storiche che lo avevano fino ad allora contenuta. Il secondo capitolo di questo libro considera in quale modo la riaffermazione poderosa di quella promessa, che all’inizio era stata formulata in termini altamente politici, abbia in breve tempo portato all’affacciarsi di un nuovo soggetto assai poco adatto la politica: il narcisista.
L’affermarsi di questo tipo umano contribuisce a far appassire cinque dimensioni fondamentali dell’agire politico: potere, identità, tempo, ragione e conflitto. E non solo. A partire dagli anni settanta le élite politiche, di destra come di sinistra, cercano di prendere le misure alla nuova situazione storica. Convinte di trovarsi davanti a un’ondata inarrestabile, blandiscono il narcisista, gli danno quel che cerca. Allo stesso tempo però, poiché è impossibile soddisfarlo del tutto, si sforzano di arginarlo, trasferendo il potere della politica verso istituzioni economiche, giudiziarie, tecnocratiche, spesso sovranazionali.
L’operazione ha un senso, e forse in quella congiuntura non ci sono vere alternative. Ciò non toglie tuttavia che, così facendo, la politica col passare degli anni si vada rinchiudendo sempre di più in una tagliola micidiale: richieste crescenti da un lato, strumenti sempre più deboli e inefficaci con cui soddisfarle dall’altro. E in fondo alla trappola un’unica funzione residua da poter svolgere: quella del capro espiatorio. […]
Da qualche anno ormai le democrazie avanzate hanno a che fare con la crescita impetuosa di forze politiche cosiddette populiste: ostili all’establishment, più o meno radicali nelle proposte, abili a nutrirsi delle emozioni negativi negative che circolano in abbondanza nello spazio pubblico. Le pagine che seguono non parlano in maniera diretta del populismo, e il termine non vi compare quasi mai. Ma non una di esse sarebbe mai stata scritta se questo fenomeno non si fosse presentato con così grande forza.
Solo, l’assunto del libro è che i populismi non siano essi stessi una malattia, ma il sintomo dell’avvizzire patologico della dimensione politica, o meglio ancora il tentativo di reagire a quella patologia. Concentrarsi sul sintomo sarebbe allora un errore madornale e peggio ancora sarebbe tirare su di esso la terapia. E’ il morbo che cerchiamo che dobbiamo cercare di capire e se poi, se possibile, a curare.