L’Europa è ancora in bilico o ha trovato il suo equilibrio?

Pubblichiamo un estratto del libro di Andrea Ungari e Francesco Anghelone, “Ultima chiamata, da Ventotene al Covid-19: l’Europa in bilico” (Bordeaux, 2020). Ringraziamo gli autori per averci permesso di condividere le interessanti riflessioni con i lettori di Ponente Magazine e la community del Centro Studi Occidentali. L’analisi ci invita ripercorrere la storia dell’integrazione europea per capire quanto sta avvenendo in queste settimane e per immaginare le grandi sfide dei prossimi anni.

L’Europa sembra essersi trasformata, nell’arco di pochi anni, da luogo di crescita, di affermazione dei diritti e di cooperazione tra Stati, in un’arena all’interno della quale i Paesi sono impegnati in una costante lotta, dalla quale non possono che uscirne vincitori i più forti. Questo clima di assoluta rottura con la tradizione europeista ha ovviamente avuto effetti importanti sul piano politico, portando a una diffusa e costante crescita di partiti e movimenti che oggi si è soliti definire populisti o sovranisti, ma che in molti casi sarebbe più corretto definire semplicemente nazionalisti. Queste forze si stanno affermando in molti dei membri fondatori dell’Ue e sono oggi al governo in alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale. La loro crescita politica è la logica conseguenza dell’assenza di solidarietà europea emersa con chiarezza in occasione delle tre grandi crisi che hanno colpito il Vecchio continente nel corso dell’ultimo decennio. La prima, quella del debito sovrano, ha messo in ginocchio le economie più deboli dell’Europa e ha evidenziato i limiti politici e ideali dell’attuale processo di costruzione europea. A quella crisi l’Unione è arrivata impreparata sia sul piano “tecnico” che sul piano politico. A livello comunitario, infatti, non erano stati predisposti strumenti adeguati ad affrontare un simile scenario e, successivamente, l’Ue ha risposto alla crisi solo attraverso il varo di politiche di austerità economica, mancando di comprenderne le conseguenze politiche.

Ciò si è tradotto in una forte disaffezione nei confronti del progetto comunitario anche in Paesi, come la Grecia o l’Italia, storicamente caratterizzati da un diffuso spirito europeista. A quella crisi, affrontata senza dubbio in modo inadeguato, se ne è subito sommata un’altra, determinata dall’esplosione del fenomeno migratorio. Un processo epocale, impossibile da fermare, che l’Europa avrebbe dovuto gestire in modo unitario e che invece ha rappresentato un ulteriore elemento di divisione interna. La questione migratoria ha rappresentato, e rappresenterà ancora a lungo, una delle grandi sfide cui l’Europa è chiamata a fornire risposte. Gli strumenti attualmente utilizzati, primo fra tutti la Convenzione di Dublino, sono assolutamente inadeguati ad affrontare la questione, sia perché sono stati concepiti in un contesto storico profondamente diverso, sia perché non si basano sul concetto di solidarietà europea. Occorre superare, dunque, la visione secondo la quale debbano essere i Paesi di primo arrivo a farsi carico della gestione del fenomeno e passare a un approccio condiviso che preveda, ad esempio, un ricollocamento automatico e obbligatorio dei richiedenti asilo nei vari Paesi europei.

L’attuale crisi sanitaria, dovuta al rapido diffondersi nel mondo e in Europa del Covid-19, è dunque la terza che investe il continente europeo in poco più di un decennio. Ad essa, che è insieme crisi sanitaria ed economica, l’Europa è chiamata a rispondere in modo diverso rispetto al recente passato. (…) Che l’Unione debba fare il definitivo salto politico, a parere di chi scrive, è assolutamente necessario anche per ritrovare quell’unità di intenti che ha segnato a lungo, pur tra visioni e interessi non sempre convergenti, la storia della costruzione europea. Il riemergere di sempre più diffusi nazionalismi e la difficoltà a riprendere un percorso di crescita e di sviluppo economico non sono certo nuovi nella storia comunitaria; in questi ultimi dieci anni, però, essi hanno assunto proporzioni maggiori che in passato, venendo amplificati dalla vicenda della Brexit. (…)

La vicenda inglese va sottolineata per evidenziare che le difficoltà che sta vivendo l’Unione non sono le stesse del passato, ma impongono un reale ripensamento in senso federalista del cammino fin qui percorso, dando vita a processi decisionali in grado di superare gli egoismi nazionali in nome del comune interesse e dei principi di solidarietà. In questo contesto, il ruolo della Francia è anch’esso centrale per l’avvio di una seria riforma politica dell’Unione. Parigi, come abbiamo visto, ha avuto da sempre un ruolo politico centrale nella costruzione comunitaria; un ruolo che è stato motore propulsore nella direzione funzionalista d’origine monnettiana, ma un freno a qualsiasi impostazione di natura federale. Tutto ciò, nel corso degli anni, ha determinato una progressiva subalternità di Parigi a Berlino, anche per la maggiore solidità della economia tedesca. Se oggi la Francia vuole riscoprire il suo ruolo guida nell’Unione, dovrebbe accentuare il carattere politico delle sue iniziative, abbandonando le sue preoccupazioni per la grandeur nazionale, spesso più propagandata che reale, sottraendosi all’abbraccio funzionalista caro a Berlino e a molti Stati del nord Europa.

La decisione di supportare Italia e Spagna nella battaglia sugli Eurobond è certamente, in tal senso, un elemento positivo. (…) In questo delicato momento storico (…) l’Italia è chiamata a riscoprire la sua vocazione europeista e federalista, riproponendo con forza la necessità di attuare una seconda fase dell’Unione, quella politica, che abbiamo visto essere stato il contributo più rilevante che il nostro Paese ha dato all’ideale europeo. Tale rilancio del contributo europeista dell’Italia si deve accompagnare al tentativo di recuperare credibilità agli occhi degli altri Stati. Una credibilità spesso danneggiata dall’incapacità dei vari governi, soprattutto quelli della Seconda repubblica, di essere affidabili e di varare quelle riforme che, in questi anni, più volte ci sono state richieste. Si badi che qui si allude non solo e non tanto alla necessità di ridurre il deficit di bilancio, che pure è una priorità, ma di avviare tutta una serie di azioni per rilanciare un Paese afflitto da un’eccessiva burocrazia, da un’elefantiasi legislativa, dai ritardi della giustizia, da una scandalosa evasione fiscale, da un’estesa corruzione e dalla larga diffusione della criminalità organizzata. Tutti elementi che, al di là di quanto richiesto dall’Ue, appaiono necessari per un Paese che voglia avere un ruolo credibile e significativo nell’agone internazionale. Perciò, pur sottolineando e stigmatizzando gli egoismi nazionali tedeschi e olandesi emersi in queste settimane, con molte cadute di stile giornalistiche, e pur rammentando i successi conseguiti da alcuni governi nel corso degli anni, occorre una riflessione sulla necessità di recuperare una rispettabilità internazionale che viene lesa, ancora prima che dai “cattivi tedeschi”, da noi stessi. Se il recupero di un’etica collettiva del lavoro e della responsabilità, di impegno nella cosa pubblica e nella società civile, di lotta alla corruzione e alla criminalità appaiono le vie maestre per recuperare il nostro orgoglio nazionale, in campo comunitario l’Italia deve riprendere il ruolo che le è sempre spettato. Un ruolo che deve fondarsi sulla presenza costante nelle aule di Bruxelles affinché vengano modificate le storture che sono emerse in questa recente crisi, al fine di creare una Ue che al primato delle banche e della finanza anteponga quello della società civile, delle questioni sociali e del lavoro.

Un’Europa dall’Atlantico agli Urali, per dirla con De Gaulle, sempre più necessaria di fronte alle molte sfide dei prossimi anni e in cui confrontarsi democraticamente, superando egoismi e arroganze nazionali, che troppe volte hanno condizionato il percorso dell’Europa unita.

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Rispettivamente: Docente di Storia contemporanea presso l’Università Guglielmo Marconi e di Teoria e storia dei partiti presso la LUISS Guido Carli - PhD in Storia d’Europa. Docente a contratto di Storia delle relazioni internazionali presso“Sapienza” Università di Roma.