Sulla riduzione del numero dei parlamentari: perché votare NO

La riforma del sistema istituzionale apicale dello Stato necessita di una attenta riflessione, condivisa da tutte le forze politiche poiché le regole del gioco devono essere scritte, e condivise, necessariamente dalla più ampia platea dei giocatori presenti.

Il rischio dell’ostruzionismo e dell’inefficienza è dietro l’angolo, soprattutto in un paese dove si vota con la logica del contrasto e dell’appartenenza a una (non ben identificata) “fede politica” ma è un rischio da correre quando si tratta di questioni vitali per lo Stato.

Questa, intanto, non è una riforma ma una riduzione del numero dei parlamentari, degna degli attuali magrissimi tempi che stiamo vivendo. Magrissimi da un punto di vista culturale, s’intende.

Umberto Elia Terracini, Presidente dell’Assemblea costituente, così si esprimeva sulla questione del numero dei parlamentari: «quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni». E continuava: «Quanto all’osservazione fatta dall’onorevole Nobile circa l’alto costo di un’assemblea parlamentare numerosa, rilevo che, se una Nazione spende un miliardo in più per avere buone leggi, non si può dire che la spesa sia eccessiva, specie se le leggi saranno veramente buone ed anche se si consideri l’ammontare complessivo del bilancio in corso».

Una questione antica, dunque, connaturata alla nascita della nostra Repubblica.

Vediamone gli argomenti.

1. Il risparmio di spesa è un concetto che può muovere le corde del c.d. “uomo della strada”. Tagliando il numero dei parlamentari (a differenza della eliminazione di una delle due Camere) non si risparmierebbe nulla a confronto con la totalità della spesa pubblica: si è infatti calcolato che si risparmierebbe lo 0.000025%.

Perché non tagliare il costosissimo staff dei Ministri della Repubblica?

2. Intervenire sul numero dei soggetti che compongono un organo è un falso problema. Occorre intervenire, semmai, sul sistema nel suo complesso. Può riflettersi sul fatto se il bicameralismo perfetto sia, ad oggi, il sistema più idoneo a produrre leggi. Se si vuole veramente semplificare, senza diminuire di molto la qualità del processo legislativo, si elimini una delle due Camere per alleggerire il procedimento legislativo.

La riforma del maggiore organo costituzionale deve poi essere organica: senza una riforma elettorale che “segua” il numero dei parlamentari così individuato sarà molto difficile formare maggioranze stabili in entrambe le Camere.

3. Non meno importante è la perdita di rappresentatività dell’organo in relazione alla popolazione del paese, giungendo proprio al punto che la forza politica di governo intendeva rimuovere: la creazione di una casta, di una oligarchia ancora più definita. Si calcola che il tasso di rappresentatività diverrebbe di 1 ogni 100.000 abitanti.

Come rilevato da Terracini all’epoca della Costituente, «se una Nazione spende un miliardo in più per avere buone leggi, non si può dire che la spesa sia eccessiva»: è dunque meglio che ci siano più soggetti ad approvare leggi. Questo però quando la caratura umana, morale e culturale di coloro che venivano chiamati a ricoprire ruoli di importanza collettiva era molto diversa da quella attuale.

Il punto non è tanto un sistema (il mondo conosce ampia varietà di forme di stato e di governo) ma chi compone quel sistema. Continuando a scegliere “il meno peggio” dal punto di vista politico, si continuerà necessariamente ad avere in Parlamento persone inadeguate a svolgere il loro compito.

Sfuggono, poi, a ingenui esponenti della maggioranza di governo le vere ragioni per il taglio dei parlamentari: un parlamento più controllabile, dai partiti politici, s’intende. Come dire: cambiare tutto per non cambiare nulla: un ritorno alla prima Repubblica.

Si scelgano i migliori profili, le capacità e le esperienze di vita e non si voti per appartenenza ideologica o per contrasto.

Questa è la soluzione, non certo il taglio del numero dei parlamentari.

Professore a contratto Dottore di ricerca in diritto pubblico Avvocato