Nella prima metà del 2020 l’economia mondiale ha affrontato la battuta di arresto più profonda dalla Seconda Guerra Mondiale, a causa del diffondersi della pandemia da Covid-19. Pur con differente durata, a partire da marzo, nelle diverse aree geo-economiche è stato adottato il blocco delle attività non essenziali e il distanziamento sociale per contenere l’emergenza sanitaria. L’attività economica dei maggiori Paesi è stata riavviata gradualmente nel mese di maggio grazie alla discesa dei contagi.
Come riportato in una nota del documento di economia e finanza 2020, i governi e le banche centrali hanno introdotto misure straordinarie di politica fiscale e monetaria per sostenere i redditi dei lavoratori e il tessuto produttivo, fornendo un supporto di dimensioni nettamente maggiori, e in tempi più rapidi, rispetto a quanto avvenuto nella crisi del 2008. Nonostante tali interventi, il blocco produttivo ha determinato una contrazione del PIL e del commercio mondiale del 3,5 e del 2,7 per cento t/t nel primo trimestre dell’anno, riduzione accentuatasi nel trimestre seguente (rispettivamente di oltre il 5 e del 12,5 per cento).
Nelle principali economie avanzate, sottolinea il documento governativo, la maggiore contrazione del PIL si è manifestata durante il secondo trimestre. Negli Stati Uniti e in Giappone il prodotto è diminuito di circa l’8 per cento, mentre nell’Eurozona si è registrata una diminuzione maggiore (-11,8 per cento); ancor più rilevante la riduzione nel Regno Unito (-19,8 per cento). In controtendenza la Cina che – essendo stato il primo Paese ad essere colpito dal Covid-19 – ha riattivato l’economia all’inizio di aprile, registrando una crescita del 3,2 per cento su base tendenziale nel secondo trimestre.

A seguito del riavvio dell’attività produttiva, nei mesi di maggio e giugno la ripresa è stata più sostenuta delle attese, sebbene con un’intensità più contenuta e con un andamento disomogeneo nei vari Paesi. Dalle inchieste congiunturali più recenti emerge che il Global composite Purchasing Managers’ Index2 (PMI), dopo aver toccato il punto di minimo degli ultimi dieci anni in aprile (pari a 26,2 punti) è tornato al di sopra della soglia di espansione in agosto, attestandosi a 52,4 punti, il livello più alto dal marzo del 2019.
Per effetto delle misure di distanziamento sociale, nel secondo trimestre dell’anno l’economia statunitense si è contratta per la forte riduzione dei consumi delle famiglie e degli investimenti, rinviati dalle imprese a causa dell’incertezza e della debole domanda. La produzione industriale ha toccato il punto di minimo dall’inizio dell’anno in aprile (-12,9 per cento sul mese precedente), recuperando gradualmente nei mesi seguenti (+4,8 per cento nella media di giugno e luglio), ma rallentando in agosto (+0,4 per cento). Le ricadute sul mercato del lavoro sono state rilevanti, con il tasso di disoccupazione che ha raggiunto il massimo storico degli ultimi cinquant’anni (al 14,7 per cento in aprile, dal 4,4 per cento di marzo) per poi scendere all’8,4 per cento in agosto.
STATI UNITI
Per contenere l’impatto della pandemia, la spesa federale è stata ampliata per finanziare programmi a sostegno delle famiglie, delle imprese, delle autorità statali e locali. Secondo le valutazioni del Congressional Budget Office (CBO), l’insieme di tali politiche determinerebbe spese addizionali e mancate entrate per il budget federale del 2020 superiori a 2 trilioni di dollari (pari a circa il 10 per cento del PIL nominale). A tali strumenti si sono affiancati i programmi di finanziamento attuati dalla FED per mantenere l’erogazione del credito all’economia e la stabilità finanziaria. Dal lato dei prezzi, l’inflazione al consumo core (al netto di energia e generi alimentari) è aumentata gradualmente (all’1,7 per cento ad agosto dal minimo dell’1,2 per cento di maggio e giugno), rimanendo al di sotto del target della FED. A tal proposito, la Banca centrale statunitense ha confermato nel meeting di settembre la nuova strategia di politica monetaria, preannunciata a fine agosto dal Chair Jerome Powell5, che prevede bassi tassi di policy (attualmente tra lo 0,0 e lo 0,25 per cento) fino a quando l’economia tornerà alla piena occupazione e il tasso di inflazione raggiungerà almeno il 2 per cento, essendo pronta a tollerare un’inflazione moderatamente più elevata per un congruo periodo di tempo.
CONTINENTE ASIATICO
Nel continente asiatico, secondo il Fondo Monetario Internazionale, il PIL dovrebbe contrarsi dell’1,6 per cento, coinvolgendo la maggior parte dei Paesi, in relazione alla necessità di contenere i contagi, alla dipendenza dalle catene globali del valore, dal settore del turismo e dalle rimesse dall’estero.
I maggiori Paesi mostrano andamenti differenziati in considerazione delle diverse fasi della pandemia. La Cina ha riaperto progressivamente le attività economiche in primavera. La produzione industriale è tornata ad aumentare dal mese di aprile, fino a registrare un incremento su base annua del 5,6 per cento in agosto (dal 4,8 per cento dei due mesi precedenti). Dall’altro lato, i consumatori restano ancora cauti, pur aumentando i propri acquisti in agosto (+0,5 per cento su base annua per le vendite al dettaglio), per la prima volta dall’inizio dell’anno. Rimangono ancora leggermente in territorio negativo gli investimenti in asset fissi nei primi otto mesi del 2020 (-0,3 per cento), sostenuti in larga parte dagli investimenti pubblici. Nonostante la ripresa, l’economia risente della minore domanda estera e della flessione degli scambi internazionali. Diversi gli interventi del Governo e della Banca centrale a sostegno dell’economia, quali la concessione di prestiti a condizioni più favorevoli, l’abbassamento dei tassi di prestito e il taglio dei coefficienti di riserva delle banche. La banca centrale cinese ha effettuato diverse iniezioni di liquidità nel mercato, di cui l’ultima in settembre, per un ammontare pari a 600 milioni di yuan di prestiti a medio termine, oltre a confermare il tasso Mtf (Medium term facilities) ad un anno (al 2,95 per cento).
Il Giappone, chiarisce una Nota della NADEF 2020, è stato meno colpito dalla pandemia rispetto ad altri Paesi, ma al pari degli altri Paesi ha adottato severe misure di emergenza nei mesi di aprile e maggio. Con la contrazione del secondo trimestre, la crescita è risultata in territorio negativo per il terzo trimestre consecutivo. La diminuzione dei consumi privati e degli investimenti si è affiancata al contributo fortemente negativo del settore estero, influenzato dalle minori importazioni della Cina, il principale partner commerciale. Dopo quattro mesi, la produzione industriale è tornata a crescere in giugno, rafforzandosi all’inizio del terzo trimestre (+8,6 per cento in luglio rispetto al mese precedente), trainata soprattutto dal settore auto, per poi decelerare in agosto (all’1,7%). Sul fronte dei prezzi, l’inflazione core (al netto di beni alimentari ed energia) si è attestata allo 0,4 per cento su base annua. La Banca del Giappone rimane cauta nell’abbassare ulteriormente i tassi di policy (già negativi o nulli) per evitare effetti secondari sul sistema produttivo e bancario, pur esprimendo una valutazione più positiva per le prospettive economiche. Le misure a supporto dell’economia sono state rilevanti da parte del Governo a favore sia delle imprese che dei consumatori e tale orientamento è stato ribadito dal Primo Ministro di recente nomina.
ECONOMIE EMERGENTI
Al contempo, anche le economie emergenti – tra cui Brasile e India restano tra le più colpite dalla pandemia dopo gli Stati Uniti – hanno dovuto fronteggiare l’impatto della crisi sanitaria, disponendo di minore capacità finanziaria per sostenere le attività produttive. A supporto dei Paesi più fragili sono stati istituiti dei programmi di finanziamento da parte delle principali organizzazioni internazionali, tra cui il FMI e la Banca mondiale.
In questo contesto internazionale, nell’Area dell’euro la pandemia ha avuto risvolti economici particolarmente negativi in aprile, quando si è toccato il punto di minimo, mentre le informazioni congiunturali disponibili da maggio in poi suggeriscono un graduale recupero. L’attività industriale ha segnato una riduzione profonda tra marzo e aprile, ma i dati più recenti registrano un rimbalzo (12,2 per cento in maggio, 9,5 per cento in giugno e 4,1 per cento in luglio), sebbene l’attività rimanga ancora sotto i livelli pre-Covid. Le indagini qualitative indicavano un recupero nella manifattura e nei servizi nei mesi estivi, con gli indici PMI tornati in area espansione; i dati di settembre hanno riportato un lieve indebolimento delle condizioni economiche per effetto della recrudescenza del tasso di contagio in alcune economie europee che hanno conseguentemente adottato nuove misure di restrizione. Si osserva una maggiore resilienza del settore manifatturiero rispetto ai servizi, che appaiono più deboli. L’Economic Sentiment Indicator pubblicato dalla Commissione Europea continua a migliorare, sebbene a ritmi più contenuti, e si sta progressivamente avvicinando ai valori di marzo scorso.
EUROPA
Sempre la NADEF 2020 evidenzia che nel mercato del lavoro dell’Area dell’euro, gli effetti dell’epidemia si sono manifestati principalmente in termini di una profonda diminuzione nel numero delle ore lavorate (-4,1 per cento nel primo trimestre e -12,8 per cento nel secondo trimestre), a fronte di un impatto relativamente contenuto sul numero degli occupati. Tali andamenti sono stati influenzati infatti dagli strumenti di integrazione salariale.

L’inflazione rimane debole per effetto della moderazione dei prezzi dell’energia – sebbene in attenuazione – dell’allentamento del trend positivo dei generi alimentari (in particolare quelli non processati) nonché della debolezza dei servizi. Fattori di natura tecnica e stagionale hanno pesato sulla diminuzione dell’inflazione al consumo di agosto al -0,2 per cento a/a (dal 0,4 per cento a/a del mese precedente). Il nuovo dato preliminare di settembre indica un ulteriore indebolimento dell’inflazione al consumo (al -0,3 per cento a/a).
Le Istituzioni europee hanno risposto in maniera risoluta alla crisi scaturita dall’emergenza sanitaria. Nel mese di maggio la Commissione Europea ha presentato al Parlamento Europeo una proposta per la creazione di un nuovo strumento denominato Next Generation EU. Il 21 luglio i leader europei hanno raggiunto un accordo storico sull’insieme di fondi da destinare per la ripresa per un totale di 750 miliardi, ripartito in 360 miliardi sotto forma di prestiti e 390 miliardi in sovvenzioni. Parallelamente, i leader europei hanno concordato il bilancio dell’UE per il periodo 2021-2027, che disporrà di risorse pari a 1.074 miliardi. Il bilancio sosterrà, tra l’altro, gli investimenti nella transizione digitale e in quella verde.
La Presidente Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione dinanzi al Parlamento Europeo, ha esortato i Governi degli Stati membri a cogliere l’opportunità rappresentata dal Next Generation EU per realizzare riforme strutturali nell’economia, trovando un equilibrio tra il sostegno finanziario e la sostenibilità dei bilanci. Relativamente alle risorse, la Presidente ha ribadito che il 20 per cento dei fondi dovrà essere destinato al digitale, mentre il 37 per cento dei medesimi andrà usato nell’attuazione del Green Deal, annunciando inoltre che il 30 per cento dei 750 miliardi del Recovery Fund sarà finanziato tramite l’emissione di green bond. In tema di impatto economico derivante dagli investimenti del Next Generation EU, si prefigura un aumento dei livelli reali del PIL dell’UE di circa l’1,75 per cento nel 2021 e nel 2022, incremento che salirà al 2,25 per cento entro il 2024.
Nell’ambito della rete di sicurezza a sostegno dei lavoratori, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato un sostegno finanziario di 87,4 miliardi di euro a favore di 16 Stati membri in forma di prestiti dell’UE concessi nel quadro di SURE, uno strumento temporaneo, concordato dall’Eurogruppo il 9 aprile 2020 e approvato successivamente dai leader dell’UE, volto a finanziare misure di contrasto alla disoccupazione prese dagli Stati membri durante la crisi COVID-19.
Sul fronte della politica monetaria europea, il Consiglio direttivo della BCE ha rafforzato l’intonazione espansiva della politica monetaria, ampliando la dimensione e la durata del programma di acquisti mirato a contrastare gli effetti della pandemia nella riunione del 4 giugno. Nella riunione del 10 settembre il Consiglio ha confermato il programma di acquisto di titoli pubblici e privati per l’emergenza pandemica (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP), mantenendo la dotazione a 1.350 miliardi e ribadendo l’intenzione di proseguirne gli acquisti netti almeno fino a giugno 2021 e comunque finché non si riterrà conclusa la fase critica legata al coronavirus. Inoltre, il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del PEPP verrà reinvestito almeno sino alla fine del 2022. Proseguirà altresì almeno fino alla fine di quest’anno il preesistente piano di acquisti di titoli (APP), al ritmo di 20 miliardi di euro al mese. Infine, resta invariato il quadro dei tassi di interesse. Il Consiglio direttivo ha confermato l’intenzione di continuare a fornire abbondante liquidità attraverso le proprie operazioni di rifinanziamento; ha ribadito inoltre di essere pronto ad adeguare tutti i propri strumenti, ove opportuno, per assicurare che l’inflazione continui ad avvicinarsi stabilmente all’obiettivo, in linea con l’impegno a perseguire un approccio simmetrico al conseguimento della stabilità dei prezzi.
In merito ad una possibile modifica della strategia della BCE anche alla luce del cambiamento di approccio da parte della FED, la Presidente Lagarde ha recentemente affermato che il processo di revisione della strategia di politica monetaria avviato lo scorso anno ha ripreso il suo corso, dopo che il suo iter era stato ritardato dall’incombere della pandemia. La revisione della strategia verterà su tre questioni fondamentali: la definizione dell’obiettivo di inflazione; la relazione tra inflazione ed economia reale; la trasmissione e l’efficacia della politica monetaria.
RAPPORTI REGNO UNITO – UE
Per quanto riguarda il Regno Unito, si irrigidiscono i rapporti con l’UE in relazione alla Brexit dopo che il governo britannico ha pubblicato un nuovo disegno di legge volto a tutelare l’integrità del mercato unico britannico, in apparente violazione dell’accordo già sottoscritto con l’UE. La reazione iniziale delle autorità europee è stata quella di ribadire che l’accordo non può essere rinegoziato o modificato, chiedendo al governo britannico di ritirare la legge entro il 30 settembre.
In seguito, la Commissione Europea ha avviato un procedimento formale di infrazione contro il Regno Unito che avrà un mese di tempo per rispondere alla lettera. Al contempo, nonostante il contenzioso, restano aperte le vie negoziali per addivenire ad un accordo di uscita entro dicembre. Nel frattempo l’economia britannica ha registrato una profonda contrazione nel secondo trimestre (-19,8 per cento sul trimestre precedente). Come in Europa continentale, gli indicatori più recenti suggeriscono un forte rimbalzodel PIL nel terzo trimestre. Le prospettive a breve termine si sono tuttavia complicate a causa della ripresa dei contagi e delle relative misure precauzionali annunciate dal Governo.
Alla luce di questi sviluppi, la Bank of England (BoE) ha confermato all’unanimità i tassi di policy allo 0,1 per cento e l’acquisto di asset per 745 miliardi di sterline. L’attuale orientamento verrà mantenuto finché non verranno osservati progressi stabili nel perseguimento dell’obiettivo di inflazione del 2 per cento (il dato più recente è di 0,2 per cento in agosto). La BoE ha inoltre evidenziato i rischi derivanti da elevati livelli di disoccupazione per un periodo prolungato e affermato che valuterà la possibilità di introdurre tassi negativi se le prospettive economiche lo rendessero necessario.
Per quanto riguarda i mercati finanziari, nella fase iniziale e più acuta della pandemia si è registrato un forte aumento della volatilità, a causa dei timori legati alla contrazione degli scambi. Successivamente, gli interventi di politica fiscale e, soprattutto, monetaria introdotti tra marzo e aprile, hanno mitigato la forte incertezza derivante dalla crisi sanitaria. La pandemia ha condotto ad un notevole rafforzamento dei settori farmaceutico e dell’high-tech7. Nei mesi estivi le borse hanno riportato risultati notevolmente positivi, in relazione alle attese sui progressi per l’individuazione di un vaccino e all’allontanarsi delle ipotesi di nuovi lockdown nei mesi autunnali, salvo far segnare brusche impennate nelle vendite dei medesimi titoli intorno alla metà di settembre.
Sulla previsione incidono anche i prezzi del petrolio e delle principali materie prime, sebbene in questo caso si utilizzino i prezzi dei contratti a termine. Il prezzo del petrolio è crollato durante la prima fase della pandemia, raggiungendo i minimi storici a circa 20 dollari al barile nella seconda metà di aprile, dai circa 60 dollari al barile di fine febbraio. A seguito degli accordi dell’OPEC plus8 e alla ripresa dell’attività economica su scala globale, le quotazioni sono aumentate da maggio, attestandosi attorno ai 40 dollari al barile. Di andamento opposto il prezzo dell’oro che, dopo il valore minimo dall’inizio dell’anno raggiunto in primavera, è aumentato nei mesi successivi segnalando l’incertezza per l’evoluzione del contesto internazionale.