A Hidden Life: il ritorno di Terrence Malick

“…for the growing good of the world is partly dependent on unhistoric acts; and that things are not so ill with you and me as they might have been, is half owing to the number who lived faithfully a hidden life, and rest in unvisited tombs”

“…perché il bene crescente del mondo dipende in parte da atti antistorici; e che le cose tra te e me non sono così male come avrebbero potuto essere, è per metà dovuto al numero di coloro che hanno vissuto fedelmente una vita nascosta e riposano in tombe non visitate.”

George Eliot

Il Bene e il Male si nascondono nel cuore degli uomini. In alcuni entrambi sono così forti da decidere il destino, prescelto e manifesto, per ognuno di essi. Hitler e tutti i suoi seguaci fanatici da una parte e dall’altra parte il contadino Franz e sua moglie Fani. Nel suo ultimo film A Hidden Life è una specie di epifania quella che ci mostra Terrence Malick, uno dei registi più misteriosi e di culto della Storia del cinema americano. Un quasi seguito de Il nastro bianco (2009), bellissimo apologo sul collasso della civiltà di Michael Haneke. La barbarie è un abisso sui cui poggia un sottilissimo pavimento di regole sociali e (desiderio di) ricchezza.

Eppure nella vita di Franz e Fani la barbarie non trova posto. C’è l’amore, l’uno per l’altra, per se stessi, per i figli, per una Casa comune. Ci sono le stagioni, la vita nei campi, i rintocchi dei campanili, a scandire la loro vita nei campi di Radegund in Austria mentre nei palazzi delle città gruppi di fanatici in divisa decidono il destino del mondo e lo sterminio di popoli interi. Franz e Fani illuminano senza saperlo ogni momento della loro esistenza ma anche nel piccolo paese si insinua il male strisciante.

A Hidden Life è un punto di arrivo nel cinema panteistico di Terrence Malick, dopo il percorso cominciato con The Tree of Life (2011)e passato da Voyage of Time (2016). In quei casi, il regista rinunciava a qualsiasi tipo di narrazione classica e cercava di stimolare lo spettatore a trarre le proprie conclusioni sulla vita, sull’universo e tutto quanto con l’ausilio della potenza delle immagini tratte (in parte) dalla realtà che ci circonda e con i misteri e il fascino legati ad essa. Questo percorso, già dai tempi di The Tree of Life, ha trovato ammiratori e detrattori in eguale misura, ma non si può certo dire che Malick non sia un inventore coraggioso, estremo e solitario nel suo cinema, e un pioniere dell’art film, perché certe situazioni da flusso di coscienza al cinema e introspezione esistenziale si trovavano già nel bellissimo Badlands (La rabbia giovane, 1973) o in Days of Heaven (I giorni del cielo, 1978). Un cinema non convenzionale, maturato con una pazienza maniacale, erede di una libertà artistica assoluta da anni ‘70, che non può lasciare indifferenti o essere tacciato di incoerenza artistica, anche quando riesce di meno. I toni simili a The Tree of Life non mancano in A Hidden Life, ma sono fortemente connessi con la sensazione di ineluttabile sacrificio che pervade tutto il racconto e solo così poteva essere raccontata.

La storia di Franz infatti, obiettore di coscienza che si oppose alla chiamata del nazismo a tutti i costi finendo col pagare con la vita, è un sacrificio come quello di Cristo di nuovo sceso sulla Terra nel periodo più buio della nostra esistenza. Malick la sceglie per parlare a tutti: sacrificandosi, Franz espia le colpe degli uomini del cosiddetto mondo civile che non si è fermato davanti allo sterminio dei propri fratelli e sorelle e che anzi, davanti a un boccale di birra, ha trovato la giustificazione ai criminali e agli assassini. Disse George Eliot, una delle più importanti scrittrici inglesi di epoca vittoriana, “ Perché il bene crescente del mondo dipende in parte da atti antistorici; e che le cose tra te e me non sono così male come avrebbero potuto essere, è per metà dovuto al numero di coloro che hanno vissuto fedelmente una vita nascosta e riposano in tombe non visitate”.

Franz Jägerstätter visse realmente, lo studio della Bibbia e la frequentazione della chiesa cattolica lo portarono alla convinzione che la sua fede fosse incompatibile con il nazionalsocialismo. Jägerstätter venne arruolato dalla Wehrmacht ma dichiarò anche apertamente che, come cattolico credente, non poteva prestare servizio militare, poiché lottare per il regime nazionalsocialista sarebbe stato contrario alla sua coscienza.

Dopo numerosi atti di coraggio e opposizione alla chiamata alle armi, venne dichiarato sovversivo e ghigliottinato a Berlino, la stessa fine di un’altra figura indimenticabile della resistenza di ispirazione cristiana e della ribellione non violenta al regime, Sophia Magdalena Scholl.Per piegare le loro convinzioni, troppo alte per essere capite da chi non era mai stato toccato dalla ricchezza della vita, più volte fu detto a entrambi che della loro memoria, dei loro gesti, dei loro ideali, non sarebbe rimasta traccia.

Invece Franz Jägerstätter e Sophia Scholl, e tutti i protagonisti come loro, hanno scolpito nel tempo un solco che è stato argine della follia e ha migliorato le nostre vite. Malick riprende questa storia per parlare dell’intimo e dell’universale, di estasi e tormento, e lo fa suggerendo che la fede è atto d’amore egoistico. Dio riposa su altri piani, la fede si affida a qualcosa che abbiamo dentro di noi e a cui possiamo solo credere, non possiamo chiedere spiegazioni, quella sensazione si può seguire o no, dopo sarà Dio a raccoglierla. Fede è consegnarsi al mistero, non cercarne i segni. Il mistero metafisico della vita per Malick viaggia attraverso abbaglianti riprese naturali di questo Eden montano, e poi i campi coltivati, le tempeste, i giochi con le figlie, gli attimi di raccoglimento su un prato, i riti e le feste della comunità, la coesistenza tra uomo e natura, il volto contrito delle madri e del sacerdote del paese, illuminati solo da una tenue luce fredda e mattutina.

La camera di Malick guarda da vicino le persone e i luoghi che li racchiudono come universi con il suo ormai consueto uso di obiettivi grandangolari e parla di quanto sia difficile distinguere il Male e separarlo dal Bene. Il Male si presenta sotto tante forme, ma molte di esse parlano tanto e promettono fortune e riscatti.

Non ci sono molte parole in questo grande ritorno dell’autore americano, non si cerca di spiegare, si mostra invece la vita di un uomo e una donna che semplicemente credono e forse ci spingono a capire un po’ di più perché viviamo. “Un giorno”, dice il pittore del paese a Franz in una delle scene più belle e lievi del film, “un giorno riuscirò a dipingere il vero Cristo”.

C’è un senso di speranza.

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