Cosa cambia nelle politiche di immigrazione col nuovo decreto del Governo

Il decreto-legge approvato dal Governo lo scorso 5 ottobre che introduce nuove disposizioni in materia d’immigrazione nasce dall’esigenza di porre rimedio ad alcuni aspetti del DL 133/18  che hanno creato particolari difficoltà applicative per ciò che concerne il rispetto, da parte del nostro ordinamento giuridico, dei principi costituzionali e internazionali vigenti in materia di diritti umani.

Per iniziare, il provvedimento immagina un intervento sulle norme del Testo Unico Immigrazione che, prima della modifica del 2018, stabilivano i presupposti per il rilascio di un  permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Non si prevede il ripristino della normativa antecedente alle misure introdotte dai c.d. Decreti Sicurezza del Governo gialloverde, tuttavia, gli espliciti richiami all’art. 8 CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare e alla pronuncia della sentenza n. 4455/18 della Corte di Cassazione),  restituiscono valore a situazioni personali del migrante che, nella precedente legislazione, avevano purtroppo perso dignità giuridica.

Invece, in base alla nuova normativa, la presenza di legami familiari in Italia e la possibile violazione, in caso di rimpatrio nel paese d’origine, dei diritti all’alimentazione, all’istruzione e alla sicurezza abitativa, potranno essere di nuovo presi in considerazione dall’autorità amministrativa e giudiziaria ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per “protezione speciale”.

Questa tipologia di permesso, oltre a vedere ampliata la sua durata da 1 a 2 anni, ora potrà essere convertita in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, assicurando così stabilità agli stranieri che, attraverso l’adempimento degli obblighi fiscali, concorrono alla produzione di ricchezza nazionale.

Altro significativo intervento del decreto è rappresentato dalla reintroduzione del termine di 90 giorni per il trattenimento massimo nei centri permanenti per il rimpatrio (CPR) degli stranieri destinatari di provvedimenti espulsivi, prima aumentato dal governo giallo-verde a 180 giorni.

Un termine più breve deve considerarsi maggiormente coerente con l’applicazione di una misura, il trattenimento nei CPR, che, come chiarito dalla Corte Costituzionale, è limitativa della libertà personale al pari del carcere e sulla cui legittimità si pronunciano i giudici onorari civili (Giudice di Pace) anziché, come sarebbe più coerente dal punto di vista sistemico, i Giudici Ordinari Penali.

Il decreto, poi, anche prendendo atto delle univoche pronunce della Magistratura, reintroduce chiaramente il diritto all’iscrizione anagrafica del richiedente asilo, colmando così un vuoto di tutela di rilevanti diritti fondamentali generato da provvedimenti precedenti.

Inoltre, nel nuovo testo, si rileva il drastico ridimensionamento delle sanzioni particolarmente severe nei riguardi delle imbarcazioni operanti nell’ambito dei salvataggi in mare così come i termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi volti al riconoscimento della cittadinanza italiana si riducono da 4 a 3 anni.

La disposizione, tuttavia, esclude ogni effetto retroattivo e, pertanto, le domande presentate prima dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto saranno definite in 4 anni, generando così dubbi di costituzionalità in relazione a  un’evidente disparità di trattamento tra situazioni del tutto omogenee tra di loro.

Il testo di legge quindi, pur non potendo porre rimedio a difetti genetici della normativa generale in tema d’immigrazione, rappresenta un tentativo di riallineamento del nostro ordinamento giuridico a norme di carattere internazionale di particolare rilevanza che tanto hanno fatto discutere nei mesi precedenti.

Avvocato, esperto di Diritto dell'immigrazione