Intervistiamo il dottor Emmanuele Cangianelli, Direttore Affari Regolatori e Relazioni Istituzionali del Gruppo HBG e Presidente di EGP, associazione di categoria di FIPE – Confcommercio che raccoglie gli operatori specializzati nei giochi pubblici. Oggi cerchiamo di capire, attraverso un esperto, quali sono i punti di forza e di debolezza del mondo del gioco pubblico.
Dottor Cangianelli, perché si parla di gioco pubblico? Qual è il ruolo dello Stato in questo settore?
Il gambling è, nelle sue varie tipologie un servizio di intrattenimento “sensibile” che richiede uno stretto controllo della dinamica di mercato. I giochi in denaro sono per questo sottoposti fin dal 1948 a riserva di legge statale, affidando in concessione ad operatori selezionati la gestione dei prodotti, l’organizzazione delle reti distributive (soggette ad autorizzazione di polizia) e delle tecnologie di funzionamento, oltre alla gestione dei flussi finanziari (comprensiva delle rilevanti competenze erariali).
La raccolta dei giochi quanto vale in termini di entrate per lo Stato?
L’evoluzione tecnologica ha diffuso modalità di gioco ed intrattenimento ulteriori rispetto alle tradizionali lotterie, quali le scommesse sportive, il bingo e le slot machines, prima limitate ad ambiti ristretti temporalmente e geograficamente ed inizialmente (almeno per tutti gli anni Novanta) condotte nella “economia non osservata” od in quella criminale. La progressiva regolamentazione di questi fenomeni ha portato, negli ultimi dieci anni, ad un mercato regolamentato (composto da circa 18-20 milioni di giocatori) che misurava (nel 2019), giocate per 110,5 miliardi di euro, con vincite per 91. Di conseguenza, la spesa dei giocatori (i ricavi effettivi del mercato regolamentato) è stata di 19,5 miliardi, dei quali il 59% è andato all’erario.
Gli ultimi governi hanno spesso tassato il settore. Quali sono i pericoli?
Dopo la fase di forte emersione dello scorso decennio, i governi hanno progressivamente e ripetutamente incrementato la quota erariale nei rapporti concessori, particolarmente per gli apparecchi da gioco e, in misura meno estesa, per le scommesse ed il bingo. Al di là di considerazioni sui rapporti concessori, la convenienza degli operatori economici a mantenere il presidio dell’offerta legale può essere messa a rischio da esagerate restrizioni delle marginalità, soprattutto se non basate sulla conoscenza della dinamica degli specifici prodotti.
Un esempio?
Un piccolo esempio recente, molto negativo, è la tassazione c.d. “salvasport” sul settore scommesse: non solo perché intervenuta in piena emergenza COVID ma anche perché ha effetti totalmente espulsivi dal mercato italiano di un prodotto come il betting exchange (scommesse tra giocatori e non con il bookmaker) per il quale la tassazione arriva in alcuni casi al 105% dei ricavi. Un prodotto “di nicchia” ma che nel crescente canale online, finirà per essere risucchiato fuori dal sistema concessorio, quindi su canali offshore non regolamentati.
Perché le misure degli ultimi anni hanno penalizzato così tanto gli operatori del settore?
Evidentemente, le riduzioni della marginalità per le aziende che gestiscono le reti di controllo in concessione e per quelle che gestiscono i punti vendita modificano di conseguenza i piani economici delle imprese. Se al livello più “alto” della filiera alcune di esse (ad esempio operatori internazionali) possono decidere di uscire dal mercato italiano, al livello più “basso” quello degli esercenti (compresi i bar che offrono un angolo scommesse o due slot machines collegate alle reti pubbliche) possono essere facilmente attratti da offerte non legali. Diminuendo così il perimetro di controllo pubblico e di garanzia per i consumatori su questi servizi.
Quindi il gioco pubblico è sicuro?
La riserva statale ha consentito di perimetrare e controllare l’offerta di questi servizi di intrattenimento con vincite in denaro conducendola progressivamente e in larga parte in una cornice di legalità, tutela dei consumatori e controllo fiscale.
Può fare un altro esempio?
In tutti i segmenti, ed in particolare negli apparecchi da gioco e nelle scommesse ma anche nel bingo, il controllo è esercitabile sostanzialmente in tempo reale con l’ausilio di reti telematiche che collegano oggi oltre 70.000 punti vendita in Italia, dei quali circa 10.000 specializzati. Inoltre, la tutela dei consumatori è concretizzata dalla certezza delle regole di partecipazione e di vincita, da una sempre crescente informazione sui rischi di dipendenze patologiche e da estesi programmi di formazione degli esercenti; oltre ad una rigida prevenzione del gioco minorile che prevede il divieto di ingresso nelle sale e, più in generale, dalla qualificazione degli esercenti soggetti, eventualmente, a sanzioni rilevanti.
E allora perché molte parti politiche e associazioni credono che il gioco pubblico sia pericoloso e vada arginato?
Non esiste ancora, purtroppo, una adeguata conoscenza delle finalità e della qualità del sistema di controllo dell’offerta implementato nell’ultimo ventennio nel nostro Paese; unendo questa mancanza (della quale ha colpa anche l’industria di settore) alle facili demagogie che si possono fare sul gambling ed a qualche inevitabile sensazionalismo giornalistico, si comprendono le ragioni di queste posizioni.
Secondo lei quali sono i pericoli reali?
Il gioco che permette vincite in denaro comporta due grossi pericoli: le dipendenze patologiche (che arrivano a riguardare fino al 3% della popolazione) e le infiltrazioni – od addirittura il controllo – della criminalità sull’offerta.
Come si risolvono questi problemi?
Chiaramente, solo contrastando intensamente il secondo pericolo si possono ottenere risultati nella prevenzione del primo, quello delle dipendenze. Molti soggetti politici o associativi sottovalutano (talvolta strumentalmente) questa correlazione, oltre a confondere giudizi morali sul consumo con interventi pratici di educazione al consumo.
E allora come si combatte il gioco illegale?
Con il controllo dell’offerta, in modo da canalizzare quanti più attori del mercato ma anche dal lato della domanda.
Cosa si può fare sotto un profilo pratico?
Ci vogliono continui investimenti nei sistemi tecnologici di controllo dei concessionari (che alimentano di dati i sistemi pubblici) ma anche sull’informazione istituzionale sui rischi del gioco illegale. Quest’ultima è la grande assente dell’ultimo decennio, nonostante le ingenti risorse che l’erario riceve dal comparto.
Con l’arrivo della pandemia come è cambiato il settore?
Le misure governative di distanziamento sociale hanno interrotto completamente le attività (tranne le lotterie) per oltre 6 mesi su 12 nel 2020, riducendo la spesa nel gioco regolamentato di oltre circa 35% (quasi 6,8 miliardi). L’impatto sull’erario è stato maggiore (oltre il 40%, tra 4,5 e 5 miliardi) poiché si sono interrotte non solo le attività di scommesse e bingo, ma anche degli apparecchi da gioco, sottoposti ad un prelievo molto elevato. In questi primi mesi del 2021 le disposizioni anti COVID mantengono il blocco integrale del retail gambling, come di tutte le attività del tempo libero: una misura che riteniamo eccessiva essendo stati sviluppati, come previsto dal DL 33 del 2020, severi protocolli di prevenzione dei rischi, basati sostanzialmente sulla riduzione del numero di clienti negli spazi adibiti al gioco.
Quali potrebbero essere le conseguenze dovute all’attuale situazione?
Nei giochi pubblici questo sta incrementando esponenzialmente il rischio di riduzione del perimetro di legalità e sicurezza dei consumatori nell’offerta: molte piccole sale non sono finanziariamente strutturate e, nel migliore dei casi, interromperanno l’attività; nel peggiore, potranno essere oggetto di infiltrazioni criminali, non facili da intercettare per i concessionari – operatori privati – a fronte di documentazioni amministrative e contabili regolari.
Quali interventi teorizza per assicurare da un lato la sicurezza del giocatore e dall’altro il mantenimento di margini di guadagno per gli operatori del settore?
Da diversi anni si discute sul “riordino” distributivo, oltre che sulla “riduzione dell’offerta”. Questo secondo concetto è il portato della disinformazione che abbiamo evidenziato, in quanto l’offerta dei giochi pubblici, proprio per la sua funzione, deve essere proporzionata alla domanda, pena il trasferimento di questa verso il mondo illegale e non sicuro per i consumatori.
Invece che idea si è fatto sul riordino distributivo?
Il riordino distributivo si deve basare su una qualificazione dell’offerta in tutti i prodotti e con una incentivazione, semmai, alla concentrazione dell’offerta stessa.
Altro?
Fondamentale è anche l’ulteriore evoluzione tecnologica, nelle reti di controllo ma anche nelle soluzioni di prevenzione: sarebbe fondamentale introdurre un Registro di autoesclusione attraverso il quale filtrare l’accesso alle aree di gioco specializzate.
Invece sul lato della domanda?
Riguardo alla domanda di gioco, anch’essa ha bisogno di qualificazione, ma soprattutto di informazione, anche istituzionale, oltre a quella garantita dagli operatori nelle proprie reti; un’informazione corretta sui rischi di dipendenza, sulle soluzioni di assistenza e cura e sulle differenze tra offerta regolamentata ed illegale.