La logica e il potere: il Draghi vademecum che può cambiare il grillismo (ancora una volta).

L’unità nazionale non è solo una questione di forma alla quale siamo un po’ abituati per effetto della nostra cultura Repubblicana post-bellica. Invocare l’essenza unitaria, a volte, può sembrare un po’ banale e scontato nell’epoca del nuovo millennio. La logica impone di guardare con realismo a ciò che è accaduto sin dall’inizio della legislatura in corso: Governo “Conte primo” tra Lega e M5S; Governo “Conte bis” tra PD, M5S e Leu; ora incarico al Prof. Draghi. Ancora la logica ci indirizza su un piano di valutazione delle dinamiche che, mettendo da parte per un attimo lo spirito unitario a cui i Costituenti ci hanno ispirato, finisce per sintetizzarsi ad un vecchio adagio Andreottiano: “il potere logora chi non ce l’ha”. Già. Perché se da una parte il grillismo è nato, cresciuto e sviluppato sul pilastro della teoria monocromatica del tonno in scatola, contrastano in seno ad esso due questioni ancora irrisolte: essere movimento di rottura, con alcune caratteristiche reazionarie, ecc. oppure movimento governista a prescindere dal partner? Mi si dirà cosa c’entri questa disamina d’animo pentastellato con il discorso-vademecum di Draghi all’indomani dell’incarico di formare il nuovo Governo. La questione è tutta qui: se la teoria Andreottiana ha una sua ragion d’essere, allora, il M5S farà di tutto per rimanere una forza solcatamente di mare (pur stando alla lontana dal Sardinismo) infrattandosi il più possibile per condizionare il futuro esecutivo Draghiano; se invece l’Andreotti pensiero non sembri attecchire più ai giorni nostri, rimane il suo paradosso e cioè “chi non ha potere logora chi deve esercitarlo per il Paese”. Torna qui la logica che ci porta, quindi, dinanzi ad un bivio: nella prima direzione il M5S si paleserebbe come una nuova balena bianca democristiana senza, però, alcuna radice culturale politicamente solida, la quale, a seconda dell’opportunità, si adagerebbe sul correntismo “marino” pur di non perdere quote di potere; nella seconda direzione il M5S si ridimensionerebbe, via via e pian piano, alla vera matrice genetica ovvero al grillismo radicale del primo decennio del 2000. Quest’ultima soluzione implicherebbe una fase di leaderismo a guida (si immagina) Di Battista facendo del M5S il punto di isolamento assoluto di un elettorato che, anch’esso, si troverà ad un bivio dovendo ben presto risolvere un dilemma insuperabile a due ipotesi: come incidere nel processo politico per il cambiamento e/o come incidere nel processo politico per condurre il parlamento al nichilismo valoriale dei partiti? Mario Draghi con il suo primo discorso post-incarico Mattarelliano ha detto poche cose e disarmanti sul piano del da farsi con immediatezza, serietà e cognizione di causa: per il M5S è il momento di essere qualcosa in più ovvero una forza che in un sistema proporzionale (dato che lo prevede la Costituzione e che, al contempo, lo vuole fortissimamente la corte filo-Contiana) si spogli di retropensieri tipici del grillismo, delle paure di fare politica nella politica e tra la politica, di delegittimare le culture delle opposizioni e delle forze di maggioranza. Diversamente il M5S sarà sopraffatto dal vademecum di Mario Draghi a tal punto che l’unica soluzione di sopravvivenza sarà un ritorno alle origini (tra l’latro ormai perse). Saper cambiare non significa per forza di cose trasformismo o tradimento della propria nascita, ma dare spazio all’evoluzione di sé stessi tra gli altri: si chiama processo di sviluppo politico. Chiaramente cambiare non deve equivalere ad opportunismo, ma a cogliere il senso della crescita per quello che è: la cosiddetta maturazione. Il Paese non è solo destra, sinistra e M5S. Il Paese è anche adattamento, come quando si è in alto mare. È risaputo che fine ha fatto il Titanic per la cocciutaggine di qualcuno. A Mario Draghi spetta, ora, ottenere la fiducia del Parlamento per governare, ma la domanda più importante da porsi è se la competenza può fidarsi della medio-crazia laddove quest’ultima non vuole prendere atto della necessità di alimentarsi di nuova linfa politica. Chissà, magari ci sarà presto un Valor-Day al posto del Vaffa-day. Senza questo processo il M5S rischia di implodere per effetto della c.d. “invidia da non ammirazione” (mi si consentirà di non citare il nome scientifico utilizzato dal celebre Freud); teoria legata ad una forma di depressione (diciamo infantile) da ingratitudine che porterebbe inevitabilmente, come anche teorizzava la psicoanalista Melanie Klein, ad una pulsione suicida (in questo caso politicamente). Saper vivere in modo maturo significa imparare a coesistere con le qualità opposte (in particolare degli altri). Con Mario Draghi, pertanto, a prescindere dal come potrebbe governare non si può che non ispirarsi all’elevazione. Speriamo che il Parlamento sia pronto a fare la storia della nostra società piuttosto che, morbosamente, le social-stroies.

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