La tecnologia al servizio dell’uomo o l’uomo al servizio della tecnologia? In lustri passati la risposta sarebbe stata scontata. Oggi non più. Il progresso è potenzialmente in grado di causare un profondo senso di smarrimento, di alienazione, tale da generare un allontanamento dai valori identitari dell’essere umano. L’assenza di connessione, i bug nei servizi online, le frodi informatiche sono solo alcuni degli imprevisti che quotidianamente ci arrecano un senso di disorientamento. D’altra parte, se impiegata con criterio, la tecnologia può essere proficua per affrontare agevolmente le sfide dell’uomo moderno, adeguandosi a contesti globalizzati ed in rapido sviluppo. L’emergenza pandemica ha sicuramente evidenziato la necessità di adeguarsi ai tempi, sfruttando i nuovi mezzi per permetterci di vivere in un simile periodo in modo apparentemente normale. Il rischio è solo quello di trovarci a “rincorrere” un progresso tecnologico che non siamo in grado di controllare. Invero, Gordon Moore, già nel 1965, affermava che “la complessità dei microcircuiti raddoppia periodicamente, con un periodo originalmente previsto in 12 mesi, allungato a 2 anni verso la fine degli anni Settanta e dall’inizio degli anni Ottanta assestatosi sui 18 mesi” (enfasi aggiunta). Basti pensare che il timore di essere “vinti” dalla tecnologia ha indotto le organizzazioni intergovernative a prevedere dei piani di contenimento dello sviluppo tecnologico e dei relativi costi (ad esempio, l’International Roadmap for devices and Systems). Ad oggi, dunque, la tecnologia deve essere intesa come un valido supporto nella vita quotidiana. Tuttavia, questa va apprezzata anche nel suo ruolo di portatrice di novità. La vita è iridescente e durante questa viviamo trasformazioni e cambiamenti: Eraclito direbbe che “nello stesso fiume non è possibile entrare due volte”. E poiché “l’uomo sta al lavoro come il fanciullo sta al gioco”, ecco che l’evoluzione della tecnologia si manifesta pienamente nel business, tentando altresì di collegare due generazioni profondamente diverse tra loro. La trasformazione digitale potrebbe essere intesa come un processo di integrazione delle tecnologie digitali in tutti gli aspetti del business, un processo che comporta cambiamenti sostanziali anche sotto il profilo culturale. Come tutte le trasformazioni, anche un simile processo richiede tempo: Marc Carrel-Billiard, Responsabile R&S per la digital transformation di Accenture, afferma che “Trovare modi per aiutare le persone a superare il digital divide e lo shock culturale provocato dai rapidi cambiamenti sarà tanto importante quanto la tecnologia che utilizziamo per arrivarci”. Quindi superare tale shock diventa fondamentale al fine di ottenere un vantaggio concorrenziale nel mercato di riferimento rispetto agli altri competitors: secondo il MIT Center for Digital Business, l’adozione di questi processi comporta mediamente un incremento della redditività del 26% rispetto ai competitors. In futuro, a seguito dell’adeguamento alle istanze di digital transformation da parte della maggior parte delle aziende, piuttosto che parlare di vantaggio competitivo risulterà evidente lo svantaggio concorrenziale di quelle che non dovessero adeguarvisi. Dunque, il camaleontismo, inteso come quello spirito di adattamento nell’ambiente circostante, si rende necessario per sopravvivere. Trasformazione digitale significa non solo adottare nuovi strumenti tecnologici, ma altresì puntare verso l’innovazione strategica del suo modello di business, inserendo nel relativo core innovazioni e nuovi processi. Adattamento e lungimiranza sono due caratteristiche fondamentali delle imprese impegnate ad aggiornarsi. Dunque, tale cambiamento può atteggiarsi, da un lato, come mera capacità previsionale dei cambiamenti imposti dal mercato, consentendo un rapido adeguamento (ad esempio, attraverso l’automatizzazione dei processi ovvero la creazione di esperienze e servizi personalizzate per i clienti) e, dall’altro lato, come un processo teso ad innovare drasticamente una realtà imprenditoriale o professionale (a titolo esemplificativo, l’offerta di servizi innovativi grazie all’impiego di tecnologie emergenti). Secondo una ricerca condotta da Mckinsey , solo il 30% delle imprese impegnate nei processi di digital transformation sono riuscite a perseguire gli obiettivi che si erano preposte. Tuttavia, Mckinsey ha individuato le condizioni che potrebbero aumentare le probabilità di successo all’interno di un’azienda, quali: i) la creazione di “leader del digitale”, che ricoprano posizioni ad hoc e contribuiscano a divulgare la digital culture nel panorama aziendale; ii) l’adeguamento della strumentazione aziendale; iii) una responsabilizzazione dei dipendenti nel recepimento dei moduli del digitale. In futuro, gli stanziamenti assegnati per favorire questa trasfromazione aumenteranno considerevolmente. Nell’ambito del paper “FutureScape: Worldwide Digital Transformation 2018 Predictions”, la International Data Corporation (IDC) ha rilevato che entro la fine del 2020, il 25% delle aziende globali del 2000 avrà sviluppato programmi di formazione digitale e cooperative digitali per competere in modo più efficace e che entro la fine del 2020 il 60% di tutte le imprese avrà completamente articolato una strategia di piattaforma digitale a livello di organizzazione e sarà in procinto di attuare tale strategia. In conclusione, l’urgenza di cambiamento nei prossimi anni e comunque a breve termine non può più essere ignorata. L’adozione di nuovi processi si rivelerà fondamentale in termini di competitività e sembra potersi considerare, guardando al rischio di impresa assunto, come il punto di equilibrio tra istanze conservatrici (derivanti dal mancato adeguamento ai processi digitali), da una parte e decisioni esageratamente innovatrici (dunque, sproporzionate quanto ai tempi ed ai costi da sopportare), dall’altra.